Diabete, adolescenza e covid

Il diabete mellito è una malattia familiare. Non riguarda mai il solo individuo nella famiglia, soprattutto se l’esordio avviene nell’infanzia, perché diventa prima dei genitori, dei caregiver: la gestione è sulle loro spalle e il bambino subisce il diabete, diventando un referente di esso. “Marco come ti senti?”, “Aspetta, lo chiedo alla glicemia”. Col tempo il peso della responsabilità del diabete si sposta: i genitori se ne fanno carico a casa, il bambino comincia a prendersi delle responsabilità quando esce dal sistema famiglia ed entra in quello scuola. Come un piccolo salto nel vuoto, i genitori lasciano andare il bambino, consapevoli che quello che separa il figlio dalla merenda ipercalorica dei compagni è il buon senso dell’ometto. Cosa succede qui? C’è un gap, che fino a pochi anni fa rendeva la distanza tra i due sistemi, scuola e casa, incolmabile.

La tecnologia

Quel divario è stato colmato dalla tecnologia, dalla comunicazione, dal sostegno di nuovi sistemi a trasmissione rapida, in grado di gestire il passaggio di dati tra sensore e genitore, permettendo ricevere in diretta i valori della glicemia del figlio sullo smartphone e anche a correggerli, inviando l’ordine di un bolo.

Guardandosi indietro, al passato primitivo della gestione del diabete, si ha la sensazione di un passaggio storico, che ci fa chiedere “ma come facevamo prima?”. Già, come facevamo a lasciare i nostri figli a scuola consapevoli che la prossima misurazione della glicemia sarebbe stata all’ora di pranzo, con una merenda nel mezzo? Come facevamo a usare siringhe usa e getta, strisce sensibilissime che impiegavano 20-30 secondi a fornire un risultato? Come quando usavamo le cartine stradali per viaggiare, quando dovevamo prenotare viaggi all’estero, viaggi in aereo, cercare un numero di telefono come un ago in un pagliaio. Insomma, cose che magari a volte ci fanno sentire nostalgici, ma a cui pensiamo solo per essere grati della tecnologia odierna e per farci sentire un po’ più eroi nel nostro piccolo. Così il bambino va a scuola, fa sport, corre, mangia, si diverte e il genitore mantiene tutto sotto controllo, a distanza di smartphone, “ovunque andrai la mia rete telefonica può arrivare fin lì”.

L’adolescenza

Poi qualcosa cambia. Il bambino non è più un bambino, ma un ragazzo. Qualcosa trema, perché l’equilibrio del sistema cambia. Il ragazzo chiede di più indipendenza, un pigiama party, una pizza con gli amici, smettere lo sport di sempre, i cibi di sempre, ora non piacciono più. La gestione del diabete nel migliore dei casi viene a quel punto mediata: delle responsabilità, parte del controllo, vengono passate al ragazzo che impara a essere un portavoce attivo del diabete. I genitori lo sanno che quel momento arriva, ma nessuno è mai davvero pronto. Perché prima che il genitore si possa preparare arriva l’adolescenza. A questo punto le cose diventano più caotiche: il ragazzo diventa adolescente e adesso è arrabbiato, silenzioso, confuso. La sua vita è un mistero, esce di casa la mattina e torna la sera, vacanze con gli amici, l’introduzione al bere sociale, nuovi tipi di stress (quanti cho ha un’interrogazione? Quanti un litigio con il/la fidanzato/a?). La gestione del diabete passa di mano, diventa una responsabilità dell’adolescente e la sensazione per il caregiver è quella di una tovaglia di un tavolo tirata via all’improvviso: la percezione che il disastro sia dietro l’angolo.

Così il genitore torna ai vecchissimi tempi, si viaggia senza gps.

La tecnologia con cui faticosamente si era venuti a patti diventa uno strumento del ragazzo, passa di mano. Si cede il posto di guida a colui o colei era stato passeggero fino a qualche anno prima, sperando che abbia imparato abbastanza. Speranza è la parola chiave, non c’è gestione psicologica del diabete senza la speranza che il figlio se la possa cavare da solo. Andrà tutto bene? Probabilmente no, ci saranno incidenti di percorso, sbandate e periodi fuori controllo. Ci saranno momenti in cui il novello gestore vorrà tornare indietro, ridare tutto in mano ai genitori con la speranza che risolvano i problemi, super eroi di un tempo passato. I genitori non potranno rifiutarsi, ma dovranno ricordarsi che è una fase, un ripasso. Lasciate che il ragazzo impari, che sbagli, che si arrabbi e che alla fine riesca. I genitori faranno i conti con la frustrazione, il desiderio di protezione e di ritorno agli antichi fasti, quando la glicemia era a portata di smartphone e il bolo era un po’ anche vostro. Non c’è vergogna nel pensare che qualcosa manca di quel periodo in cui voi, la tecnologia e vostro figlio eravate un tutt’uno, un tutt’uno faticoso, ma tutto sommato sotto controllo.

Il  Covid-19

In questo periodo di emergenza, in cui i figli di tutte le età si sono trovati a essere “costretti” sotto un controllo più grande, quello dello stare a casa, sembra che il processo di responsabilizzazione si sia un po’ fermato. Tutti sotto lo stesso tetto, è più facile capire l’andamento della glicemia del proprio figlio, controllare ciò che mangia, quanto spesso va in bagno, quanto spesso mangia zuccheri, quanto spesso fa esercizio fisico. Appena la situazione si è sbloccata e le scuole sono state riaperte ho letto sempre più spesso di genitori che chiedono “ma è sicuro mandare mio figlio a scuola ora? Ma se rimanesse ancora a casa che male ci sarebbe? È fragile, è immunodepresso, è a rischio”. Non è un desiderio da giudicare, il genitore fa quello che sa fare meglio, cioè proteggere il figlio dalle possibili minacce, ieri ipoglicemia e iperglicemia, oggi Covid. È un desiderio da accogliere e comprendere, chiedendosi “a che bisogno sta rispondendo questo desiderio? Chi esattamente sto cercando di proteggere e da cosa?”

La tentazione di rientrare nel meccanismo infantile di protezione è forte per il genitore, perché prendersi cura del proprio figlio, anche se ormai grande, dà la sensazione di essere tornati ad essere super eroi, di avere di nuovo pieno controllo sulla situazione diabete, quando il Covid ci ha fatto capire di non aver controllo su un numero infinito di eventi. Il rischio psicologico maggiore che questa pandemia può portare nel sistema famiglia è la chiusura, la sensazione che se mio figlio non è al sicuro con me allora non sarà al sicuro da nessuna parte. Comportarsi come se la crescita personale per un anno possa essere messa in pausa, come se il figlio adolescente fosse stato bocciato a scuola e dovrà ripetere i 16 anni il prossimo anno. Non è così. Arrendersi alla chiusura perché più sicura non è una soluzione perché evitare qualcosa che spaventa porta solo a un rinforzo della suddetta paura. La vita non si ferma, il tempo è una freccia, e forse ci fa sentire persi come quando ci perdevamo in macchina, quando non avevamo il GPS, ma solo una cartina enorme davanti a noi. Accogliere questa complessità è tutto, accogliere la vertigine che ne viene, la perdita di confini.

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Diabulimia: cos’è e perché è importante conoscerla

Tempo fa su un gruppo facebook ho letto un post che diceva: “ho nostalgia della magrezza prima del diabete! Mangiavo quello che volevo e continuavo a dimagrire!”. Al di là dell’ironia del commento, mi sono sorpresa a pensare anch’io a come ero magra prima della diagnosi e a come certi pensieri relativi a noi stessi siano subdoli. Certo, mangiare senza ingrassare è come trovare il Santo Graal dell’immagine corporea, una formula magica, ma ha come effetto collaterale farti scordare della sofferenza fisica di un corpo, del tuo corpo, che sta morendo di fame. Ma tutt’ora, anni dopo la diagnosi, ci ricordiamo di come ci stavano bene i jeans, il costume da bagno o le magliette. Perché confondere un grido d’aiuto del nostro corpo con uno stato di benessere?

“Immaginate la dieta perfetta. Una in cui più mangi più perdi peso. L’unico problema è che stai morendo.”

Raramente capita di sentir parlare del rapporto tra diabete e disturbi del comportamento alimentare, in particolare di diabulimia, ma il rapporto (in psicologese, la correlazione) tra queste due condizioni si mantiene connesso nel tempo. Alcuni studi attestano la diffusione dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) intorno al 30-40% (Jones, J.M et al. 2004, Colton, P. et al. 2000, Toni G., et al. 2017), un risultato ancora più preoccupante se si pensa che il 10% di questa percentuale riguarda adolescenti tra i 12 e i 19 anni. 

La diabulimia in particolare è un disturbo del comportamento alimentare che colpisce adolescenti e giovani adulti con diabete di tipo 1, e consiste nell’omettere iniezioni di insulina con il solo scopo di dimagrire e perdere peso. Il fulcro di questo disturbo è l’ossessione per l’immagine corporea, sulla quale si basa interamente l’autostima della persona. La percezione di sé è distorta, infatti chi soffre di questo tipo di disturbo non riesce a percepire quanto sia magro o sofferente, anche se messo di fronte alla realtà, ma anzi, si percepisce sovrappeso. Per questo motivo è necessario un intervento mirato di psicoterapia per uscirne, che coinvolga la famiglia e in questo caso l’equipe medica.

“Non trovo più l’uscita”: come si mantiene il disturbo.

Alla base vi è un circolo vizioso comune a persone diabetiche e non. Si parte da una situazione di scarsa autostima, che, insieme a fattori socio-culturali e biologici, determina una certa fragilità per i disturbi alimentari. Il tentativo di soluzione che la persona mette in atto è quindi quello di controllare il peso; è qui che la persona diabetica smette di somministrarsi insulina, mentre quella non diabetica smette di mangiare o fa uso di condotte di eliminazione. Entrambe le categorie probabilmente inizieranno un’attività fisica disperata, senza equilibrio, mentre una porzione minore farà uso di lassativi o diuretici. 

A questo punto la situazione di sdoppia per la persona diabetica: da una parte, “nel mondo esterno”, il peso diminuisce. Ci si sente bene, la propria autostima cresce, e più importante, le persone fanno un sacco di complimenti. Chi non ha mai risposto “grazie” all’affermazione “sei dimagrito”? Questo è un rinforzo positivo, cioè rinforza il comportamento alimentare in questo caso scorretto. 

Internamente invece, un disastro: in glucosio si accumula nel sangue e finisce nelle urine (glicosuria), si incorre nella chetoacidosi, fino al progressivo danneggiamento degli organi interni, e infine, nel peggiore dei casi si entra in coma diabetico.  

Col progredire del tempo arriveranno le abbuffate, dettate dalla fame o dall’iperglicemia. Queste abbuffate si svolgono in solitudine, la persona mangia ciò che può perdendo il controllo. Le abbuffate lasciano la persona con nausea e disgusto per se stesse e sono seguite dal senso di colpa e dall’abbassamento dell’autostima. Ricomincia tutto da capo. 

È un circolo vizioso, le persone che ne soffrono rimangono intrappolate, tengono i sintomi in equilibrio e non accettano facilmente aiuto perché pensano di non averne bisogno.

Know your enemy: conoscere significa agire prima e meglio. 

I DCA colpiscono nella maggioranza dei casi la popolazione femminile, con un’età a rischio tra i 12 e i 25 anni. L’inizio può essere una dieta più rigida del solito, o un commento poco felice di un dottore, ma le cause come detto sopra sono multiple. La difficoltà principale nell’aiutare qualcuno che soffre di questo disturbo è che le persone stesse che ne soffrono negano di avere un problema, mancando di consapevolezza, rifiutandosi di accettare la realtà. Alcuni casi sono peggiori di altri, ma tutti hanno in comune una grande sofferenza, che difficilmente riesce a essere nascosta a lungo, così come la perdita di peso. Ma mentre la perdita di peso rimarrà un tabù che la persona non vorrà sentire, la sofferenza sarà lì ben presente sotto la soddisfazione effimera per la presunta forma fisica ritrovata. La glicemia alta costante porterà con sé altri sintomi che conosciamo bene: stanchezza cronica, minzione frequente, irritabilità, fame.

Cosa fare? 

Se questi sintomi riguardano te che leggi o qualcuno che conosci è importante muoversi delicatamente, ma velocemente. Informarsi sullo stato del benessere psicologico più che sul benessere fisico, capire i pensieri che stanno dietro a un dimagrimento sospetto o ad atteggiamenti nuovi verso l’immagine corporea. Se si vive a stretto contatto con la persona, notare i sintomi di iperglicemie e le abitudini che stanno dietro la gestione del diabete, evitando di essere troppo invadenti o si rischia di far chiudere chi ci troviamo davanti. Se il sospetto diventa qualcosa di più è necessario agire, per il bene dell’altro: avvertire quindi il diabetologo per mettere in atto una collaborazione multidisciplinare tra lui/lei e uno specialista della salute mentale.  

Fonti:

Colton P., Rodin G., MD, Bergenstal R., Parkin C., Eating Disorders and Diabetes: Introduction and Overview, Diabetes Spectrum 2009 Jun; 22(3): 138-142.

Jones, J.M.; Lawson, M.L.; Daneman, D.; Olmsted, M.P.; Rodin, G. Eating disorders in adolescent females with and without type 1 diabetes: Cross-sectional study.Br. Med. J.2000,320, 1563–1566

Toni G et al – Eating Disorders and Disordered Eating Symptoms in Adolescents with Type 1 DiabetesNutrients 2017 Aug 19;9(8). pii: E906

https://beyondtype1.org/my-type-1-truth-shedding-light-on-diabulimia/

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Spostare il set dal sederino al pancino: «Già fatto?»

Mia figlia ha quasi 4 anni e da 2 ha il diabete di Tipo 1. Usa il microinfusore, ma non riesco a convincerla a mettere il set sul pancino, cambiare zona rispetto al sederino. Che approccio mi consiglia di usare con una bimba di quest’età? Finora ho usati i premi ( caramelle, uovo Kinder). La ringrazio.


LA PSICOLOGA RISPONDE

Molti elementi possono portare al rifiuto di provare una zona diversa, quindi prima di procedere consiglio ai genitori di cercare di capire al meglio cosa disturba maggiormente la bambina. Essendo così piccola non escludo che ci possa essere una certa confusione anche per lei nel definire cosa non va nell’inserire l’infusore sulla pancia. È paura? È vergogna? C’è stata un’esperienza dolorosa? Tra i vari motivi, il rifiuto può venire dalla paura di provare dolore.

Partiamo quindi da una piccola grande domanda: cos’è il dolore?
L’esperienza del dolore è composta principalmente da due parti: una parte percettiva, che comprende la ricezione e il trasporto di segnali nervosi e una parte esperienziale, la parte “psichica” del dolore. Mentre la parte percettiva è pressoché immutabile, la componente psicologica del dolore può davvero fare la differenza, amplificando o diminuendo la percezione del dolore. Questa parte riguarda elementi come la paura (“quell’ago mi farà malissimo!”), la dimensione motivazionale, affettiva e cognitiva (“è un ago, quindi per definizione fa male”); tutti questi fattori sono in grado di modulare l’esperienza del dolore.
La mamma che mi ha posto la domanda ha già avuto una buona idea provando con i premi, appellandosi alla dimensione motivazionale prima citata e azionando in parte quella che in psicologia si chiama “token economy”: il bambino viene premiato per aver messo in atto dei comportamenti “virtuosi”, con qualcosa di piacevole, in questo caso dei dolci, ma può consistere in un giocattolo o altro. Il problema si presenta quando la paura del dolore ha la meglio sul desiderio di un premio, così che alla fine non c’è ovetto che tenga.
La mamma a questo punto, si può appellare ad altri modulatori del dolore, quindi all’aspetto della paura, puntando sulla gratificazione del coraggio della bambina. Un esempio di questo approccio è il “diploma di grande coraggio”, che viene dato da alcuni pediatri alla fine di una visita medica poco piacevole (parere personale: ha sempre un grande effetto!!). I genitori a questo punto possono anche pensare di decorarlo, personalizzarlo, renderlo comunque un attestato per ricordare un avvenimento importante e da festeggiare, perché è sempre importante festeggiare il coraggio.
Se questo non ha comunque presa sul bambino, c’è sempre la possibilità di fare leva su elementi affettivi, che rendano più amichevole il momento della puntura, utilizzando ad esempio stickers per l’infusore (li trovate sul sito “PimpmyDiabetes” o altri del nostro Beezar). Sono tantissimi, colorati e la pancia è un posto perfetto dove provarli e farli vedere agli amici (rispetto al sedere!).

Infine, facendo appello a fattori cognitivi della bambina, la mamma può mostrarle come per altre persone possa essere naturale e per niente doloroso mettersi l’infusore sulla pancia, alcuni di questi video si trovano facilmente su Youtube. I bambini prediligono questo tipo di apprendimento, teorizzato da Albert Bandura e chiamato “vicario”: è una forma di apprendimento sociale, che i bambini utilizzano più spesso di quanto si pensi. Si compone di 4 parti:
1. Attenzione: il bambino osserva attivamente ciò che sta avvenendo.
Questo può avvenire ad esempio mostrando un filmato, con un bambino come lei o poco più grande in cui si possa riconoscere.
2. Ritenzione: le informazioni rimangono in memoria attraverso parole o musiche.
In questi video spesso ci sono musiche che “ipnotizzano” grandi e piccini, il genitore può accompagnarli commentando positivamente (“vedi che non sente niente?” o “è stata proprio coraggiosa!”)
3. Produzione: il nuovo apprendimento viene messo a confronto con un apprendimento precedente e viene “ragionato” dal bambino.
Il genitore può invogliare il bambino a trovare dei vantaggi e dei punti a sfavore per cambiare sito di iniezione. Sicuramente non è un’operazione facile con una bambina così piccola, ma i genitori sono ancora un faro di conoscenze per i bambini a quell’età. Si fiderà di voi se vi vedrà sicuri di ciò che dite.
4. Motivazione: il bambino vede degli effetti positivi nel mettere in atto le nuove conoscenze.
A questo punto, se vi sentite sicuri, potete puntare su una prova, vedere se funziona e come funziona.

Nel caso specifico qui riportato, la bambina è molto piccola e il microinfusore è un oggetto che mette soggezione al bambino, ma anche ai genitori. In queste situazioni di paura, il bambino sviluppa un sesto senso, quasi un istinto, quello di “annusare” la paura del genitore. Siate tranquilli quindi, ricordatevi sempre che, se messa correttamente, la cannula provoca poco dolore. Infatti la lunghezza dell’ago è tale che entra nello strato dell’ipoderma, dove ci sono pochi recettori nervosi, tutti referenti delle vie lente del dolore. Questo significa che reagiscono poco agli stimoli acuti cioè di breve intensità, come la puntura di un ago.
Quindi un bel respiro, il microinfusore è uno strumento fantastico che diventerà un ottimo alleato per una bambina fantastica.

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Sull’adolescenza, pandemie, diabete ed altre catastrofi

Mi chiamo Franca e sono la mamma di un ragazzo di 16 che come tanti altri suoi coetanei sta passando le giornate chiuso in casa. A parte essere in apprensione come tanti altri, ho difficoltà a capire se per lui sia “suonato” qualche campanellino di emergenza in più visto la patologia. Apparentemente sembra molto tranquillo, ma vorrei un suo parere.
La ringrazio anticipatamente.


LA PSICOLOGA RISPONDE

Viviamo un periodo difficile, tutti ne parlano, un approfondimento in merito sarebbe ridondante. Molti di voi avranno visto almeno uno di quei video “interviste” a giovani che, in barba ai divieti, hanno continuato fino all’ultimo a fare aperitivi, brindisi, darsi abbracci, “alla faccia del Coronavirus” e ognuno di noi si è indignato almeno un po’ guardando l’arroganza sui loro volti e nei loro modi di fare. Credono di essere immuni, invincibili e immortali, una spanna sopra gli altri. Per quanto poco ci piaccia, questo è un fenomeno psicologico che contraddistingue gli adolescenti, chiamato “ottimismo irrealistico”. È come un errore di giudizio che produce una sottostima del rischio, è quello che fa pensare ai ragazzi “non mi metto il casco, tanto che vuoi che succeda?”, “una birra in più, che sarà mai?”, “perché non provare questa pillola? Lo fanno tutti perché io no?” La distorsione ottimistica diventa […] quasi necessaria per ridurre l’ansia associata a particolari conseguenze negative e per difendere la stima di sé (Malagoli Togliatti, 2004, 68).

Tutti gli adolescenti si comportano così? La condizione del diabete mischia le carte in tavola, come sempre oserei dire. Il giovane con diabete sa che non è immune e sa quali sono i rischi, perché li ha già sperimentati, li sperimenta forse da anni, con caroselli di iper e ipo. Il diabetico adolescente sa già che del diabete non ci si può fidare, neanche per andare a prendersi una birra, fare il bagno in mare aperto o mangiare quel pezzo in più di pizza.
Il diabete in alcuni casi può togliere sia l’ottimismo che l’irrealistico, lasciando uno stato di ansia e di costante “chi va là”. Il diabete ci insegna a controllare tutto e a controllare sempre, mentre l’adolescenza vorrebbe i giovani scatenati, spensierati, spericolati. Forse queste sensazioni non le avete mai sperimentate e vi fa paura solo l’idea, forse vi siete lasciati andare qualche volta, è andato tutto bene e avete avuto una tregua dalla paura oppure è andato tutto male e adesso il segnale di pericolo suona in continuazione, come un antifurto malandato. In ogni caso, a seconda della maturità individuale, il diabetico sa che deve stare attento.
Questo virus può fare paura anche ai più giovani, e le rassicurazioni che potrei elencare non cambieranno il fatto che c’è un pericolo. Oggi è un’emergenza globale, domani sarà un’emergenza personalizzata come il peso di una gravidanza, la paura di andare in ipoglicemia mentre si guida la macchina o trovarsi improvvisamente senza insulina e lontani da casa: l’imprevisto è dietro l’angolo.

Ci saranno elementi che non saranno sotto controllo, sembra banale, ma fa parte della vita. Quindi se non abbiamo controllo sul mondo esterno, cosa si può fare? Ricordarsi che avete sempre il controllo di voi stessi. Questa malattia toglie la spensieratezza, ma insegna il rigore, la disciplina, la perseveranza, la capacità di far fronte alle situazioni e queste sono tutte frecce al vostro arco. Non siete disarmati di fronte alle avversità, finché vi prenderete cura di voi, con tenerezza e costanza, accettando i successi come i fallimenti. Ricordatevi che non siete soli, altri come voi in questi momenti stanno controllando dei valori con la stessa ansia di tenerli sotto controllo. Sfruttate questo periodo per imparare cose di voi stessi, per ascoltare canzoni e leggere libri, guardate film, coltivate il vostro coraggio e stringete una tregua con la paura.

E a voi genitori in quarantena, durante l’adolescenza a volte i figli si trasformano in demoni senza nome, che sbattono le porte, disobbediscono e si tingono i capelli di colori improponibili. In questi giorni di convivenza strettissima lasciate loro lo spazio necessario, con la promessa di farvi trovare pronti quando usciranno dalla loro stanza. Non costringeteli, ma proponetevi di imparare qualcosa su di loro. Che musica ascoltano? Quali serie guardano? Lasciate uno spiraglio aperto per capire meglio chi sta diventando vostro figlio, abbandonando i preconcetti e facendovi stupire da un videogioco, una band, un bel film. Ma se nonostante gli sforzi è il silenzio che la fa da padrone, accettate anche quello. A volte è importante lasciare tempo e ascoltare anche quando non c’è niente da dire.

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La psicologa risponde – Dott.ssa Martina Mazzoni

Dottoressa Martina Mazzoni, psicologa iscritta all’albo degli psicologi della Toscana. Diabetica di tipo 1 dal lontano 2000, inizia la sua collaborazione con DeeBee.it a distanza, da Firenze.
Da sempre interessata al rapporto tra psicologia e diabete, lavora per il benessere delle persone, la loro salute e la qualità della vita. Crede fermamente nel potere del cambiamento, della condivisione e della crescita e, con questo proposito, mette a disposizione le proprie conoscenze, mezzi ed esperienze ai nostri lettori.
È una lettrice accanita, amante di serie TV, cinema e di gatti 😺😺

Se avete domande da porre, scrivetele nei commenti oppure, se preferite l’anonimato, spedite un’email a info@deebee.it.

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I grandi “perché?”

Sono la mamma di un bambino di 5 anni, insulinodipendente da tre. Qualche giorno fa mio figlio ha avuto uno sfogo: ”Ma perché il Dexcom non è toccato a Niccolò?” (uno dei fratelli). Io lo odio il Dexcom e odio la glicemia.” Ho cercato velocemente una risposta soddisfacente ma che non fosse una spudorata bugia. Allora l’ho ascolto: “Per colpa del Dexcom io non posso fare le cose che fanno gli altri bambini”. Provo allora ad argomentare, ma mi rendo conto di non mettere bene a fuoco cosa dirgli. Cosa mi consiglia?

La psicologa risponde…

“Sai che mi piace mangiare la pasta sia a pranzo che a cena? Magari possiamo continuare anche dopo che sarò guarita dal diabete!” Ricordo che una volta dissi questo a mia mamma, a pochi mesi dall’esordio. Non ricordo cosa rispose, ma ora posso immaginare come deve essersi sentita.

Come far capire ad un bambino cos’è una malattia cronica? Cronica, una parola che fa paura, che per un genitore fa rima con “conseguenze”, “complicanze”, “ansia”, “incertezza”, una minaccia oscura che rimane sempre lì, come nuvoloni all’orizzonte in una giornata di sole splendente. Sai che i problemi arriveranno, ma non sai quando. Quando un bambino guarda un genitore e chiede “perché a me e gli altri no?”, questo tocca con mano, e con terrore, la propria mancanza di risposte, perché è una domanda che il genitore di un bambino malato si fa continuamente nella sua intimità. Nessun genitore sarà mai preparato al dolore di un figlio. Non ci sono frasi da film, discorsi ispirati, momenti di impalpabile comprensione da cui prendere spunto. Quello che un genitore davanti a un figlio spaventato può fare è essere un contenitore, una cornice, dentro il quale il figlio può buttare dentro le grandi domande, il dolore e la paura e vederli trasformare in qualcosa di meno spaventoso, vedere che quel dolore ha un senso e che ha senso provare paura, rabbia, risentimento.

Lo psicanalista inglese Bion parla di “elementi alfa” ed “elementi beta” come elementi complementari che compongono il pensiero. Gli elementi alfa includono i concetti, le conoscenze, la capacità deduttiva, mentre gli elementi beta consistono in sensazioni, emozioni elementari, elementi grezzi in un certo senso, che il bambino sente, ma non capisce. La frustrazione di un bambino nasce da un accumularsi di questi elementi beta: “Perché devo misurarmi sempre la glicemia?”, “Gli altri fanno merenda e io no!”, “Quando posso smettere di farmi l’insulina? Non voglio farla, le punture mi fanno male e gli altri bambini mi guardano strano!”.
Questi elementi possono essere momentaneamente eliminati, ignorati, sviati verso altro, ma i genitori hanno la capacità di trasformarli. Il genitore diventa così un contenitore, che trasforma gli elementi beta (appunto grezzi) in alfa, attraverso la sua capacità di pensiero. È come se la madre “digerisse”, metabolizzasse, qualcosa che per il figlio è ancora troppo grande e complesso, e glielo restituisse come un prodotto raffinato: “misurarsi la glicemia è una noia, ma ci serve per farti stare bene”, “hai ragione, ma anche tu puoi fare merenda se stiamo attenti all’insulina e alla glicemia, troviamo un piano!”, “tutti producono l’insulina, per noi però è diverso, dobbiamo sempre trovare un equilibrio giusto, ma non è impossibile perché abbiamo tutti gli strumenti giusti!”.

Quindi aspettatevi queste domande e fatevi trovare accoglienti. Sì, ditegli quel diabete lo odiate anche voi, così come la glicemia, il misuratore e le misurazioni, ma ricordategli che siete con loro in questa battaglia, non sono soli e insieme potete unire le forze. Validate quello che sentono, anche se fa paura anche a voi.

Diabete e bambino. Cosa succede quando mangiamo? La vera storia del cibo dalla bocca agli zuccheri, grazie al lavoro di Fata Insulina.

Da Padre a padre, dico grazie all'autore per aver fatto sorridere la mia bambina. Ci ha relagato uno sprazzo di magia

Ho pianto nel vedere la mia bimba felice  di leggere di una bimba come lei
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«Il sensore di mio figlio lo riconoscono tutti poiché l’hanno visto in TV. É un bene?»

Riceviamo e pubblichiamo il quesito posto da F., mamma di un bimbo affetto da diabete mellito 1.

Mi chiamo F. e sono la mamma di un bimbo di 12 anni che utilizza il sensore da più di un anno. Mesi fa è stata trasmessa a lungo in tv una pubblicità relativa a questo sistema ed ora molte più persone lo riconoscono e pongono domande. Secondo lei questo è un bene?
La ringrazio in maniera anticipata. F.


LA PSICOLOGA RISPONDE

Buongiorno F.,
penso che la diffusione di informazioni circa i dispositivi per la misurazione in continuo della glicemia non solo permette, a chi non conosce il diabete, di darsi delle spiegazioni ma anche dà un’occasione di conversazione, confronto e condivisione. Nell’ottica di una buona convivenza col diabete, le domande e le curiosità possono essere interpretate non come una minaccia o come un voler sottolineare una “diversità”. Al contrario possono aiutare a spiegare e a far conoscere a chi non sa la propria realtà. Nuoce, a mio vedere, molto di più il silenzio, il pudore che paradossalmente incrementano curiosità e invadenza. La conoscenza è sempre l’arma migliore che fa sentire il cuore leggero perchè senza segreti o argomenti tabù.

Dott.ssa Manuela Zavattoni

Diabete e bambino. Cosa succede quando mangiamo? La vera storia del cibo dalla bocca agli zuccheri, grazie al lavoro di Fata Insulina.

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Dalla penna al microinfusore, dal glucometro al sensore: il diabete negli occhi

Cosa cambia con l'avvento e l'utilizzo di microinfusori e sensori? Ne vale davvero la pena? Ecco le esperienze dei nostri lettori.

Il diabete di tipo 1 viene notoriamente considerato la malattia invisibile per eccellenza. O meglio, veniva considerata tale fino a quando gli unici strumenti per gestirla erano le penne e le misurazioni capillari. L’uso sempre più massiccio di microinfusori e sensori glicemici hanno reso però il diabete più visibile, una presenza fisica, talvolta ingombrante.

Prendendo spunto dal dubbio di una mamma, alle prese con il passaggio dalla terapia multiiniettiva a quella con il microinfusore, nel gruppo Facebook di DeeBee Italia è nato un dibattito ricco e vivace. Cosa pensa e sente un genitore nel vedere in modo tangibile la malattia del proprio figlio, senza poterla dimenticare neanche per un solo attimo? Quanto questo sentimento può condizionare il proprio figlio? 

Pubblichiamo qui parte della bella e fruttuosa discussione che ha portato molti genitori a intervenire con tanti utili spunti e riflessioni sulle varie sfaccettature dell’argomento. A loro un particolare ringraziamento per aver deciso di condividere anche su DeeBee.it i loro pensieri!

M.L.: Ho un parere da chiedervi. Mia figlia dovrebbe mettere sensore e micro a settembre, e ne siamo felici, lo aspettiamo da tanto. Ma c’è un aspetto che mi mette un po’ di ansia psicologicamente: il vedere su di lei sempre dei “marchingegni”. Ora la guardo e a volte mi sembra quasi “come gli altri”, invece poi mi sembrerà di avere sempre sbattuta in faccia la malattia. A voi è mai successo di avere questi pensieri? Come avete vissuto da genitori questo cambiamento?

I GENITORI RISPONDONO
Serenità

V.L.: Non vedevo l’ora di avere il sensore per la mia bambina, ma quando finalmente è arrivato ho avuto proprio la sensazione che dici tu: la malattia sbattuta in faccia. Ma è durato poco, vedere lei molto più serena ha consentito anche a me di rasserenarmi e ora sono proprio contenta, non saprei farne a meno.

Gli occhiali

S.R.: All’inizio lo nascondi un po’, sotto gli slip o sotto la maglietta. Ora non ci facciamo più caso. Dico sempre a mia figlia: “c’è chi porta gli occhiali e chi con il micro. Ognuno il suo”.

Libertà

E.S.: Penso che ci siamo fatti tutti la stessa domanda. Per me è stato difficile durante le prime settimane, anche perché il micro è stato messo immediatamente alla scoperta della malattia, quindi dovevo metabolizzare tutto in una volta. Poi mi sono resa conto di quanto sia tutto più semplice con micro e sensore, e che ti dà una gran libertà. Forza e coraggio, andrà tutto bene.

Un amico che ti aiuta

T.L.: Il nostro bimbo porta il micro quasi da 2 anni su 5 di diabete. Abbiamo atteso tanto prima di proporglielo proprio perché non eravamo pronti a vederlo con qualcosa addosso che ci ricordasse la malattia sempre, di continuo. Il nostro bimbo l’ha indossato e da subito non si è lamentato di questo compagno di vita. Forse è così che dobbiamo pensarlo: un amico che ci aiuta. Il tempo sicuramente aiuterà anche voi a non pensarlo solo come un segno del diabete.

Fierezza

E.S.: Al mare per puro caso avevano una vicina di ombrellone microinfusa e sensorizzata. Mio figlio si sentiva fiero di non essere solo.

Sicurezza

I.P.: Mia figlia vive il micro come “libertà conquistata” ed pure io la vedo così. Libera dalla penna, libera di mangiare quando vuole e soprattutto con uno strumento che le consente di avere una buona glicemia. Vedo la gioia nei suoi occhi per qualcosa che la rende anche più forte e più sicura di se!

Tranquillità

D.C.: Non so quanti anni abbia tua figlia, ma capisco perfettamente. Per 17 anni mi sono rifiutata di mettere il micro e mi sono decisa solo quest’anno. Porto OmniPod e devo dire che non mi pesa più di tanto. Sono al mare in questo momento con il Pod in bella vista e mi sento molto più tranquilla di quando ero in multiiniettiva. Capirai che è proprio un altro mondo!

Prevenzione

C.P.: All’inizio ti fa un po’ impressione soprattutto se sono piccoli ma vedere la linea dritta della glicemia o poter intervenire in tempo reale prevenendo iper/ipo ti toglie ogni dubbio. I bambini si adattano se i genitori sono convinti. L. ha 4 anni, da 2 con micro e sensore e la nostra vita è cambiata.

Praticità

A.F.:  A. ha il micro da 7 anni. Aveva 10 anni, i primi 3 tutto bene, la terza estate c’è stato un rifiuto, senza dramma siamo passati alle penne sospendendo il micro. Durato poco, la praticità del micro è stata più forte della sua visibilità. Adesso ha anche il sensore, le ho fatto dei manicotti per coprirlo, magari quando va a ballare e lei: si mette il cerottone giallo quasi ad evidenziarlo. Non ha problemi a rispondere a domande imbarazzanti. Secondo me noi genitori ci facciamo problemi, per loro è vita. Ogni tanto per sdrammatizzare la chiamo Robocop, lei ride, io sono serena.

Gestione

F.E.: Sono la mamma di un bambino di 9 anni, diabetico da 1. Mio figlio ha voluto il micro perché eravamo sempre con penne e disinfettante in mano, poi bozzi dolorosi sulle cosce e negli ultimi tempi problemi a farsi le iniezioni davanti ad altri, magari al ristorante o a un compleanno. Abbiamo OmniPod ed è davvero un grosso miglioramento per la gestione della vita quotidiana. Mio figlio gira senza maglietta e sembra che non si ricordi neanche di averlo. Io ci ho fatto l’occhio e non lo vedo neache più. Abbiamo messo anche FreeStyle Libre  e si va avanti, tra iper e ipo.

Il meglio

S.C.: Stessi pensieri. Stesse emozioni. Il micro rappresentava addosso al mio cucciolo di 15 mesi la materializzazione fisica della sua malattia. Nonostante questo non ho esitato un attimo a metterlo subito a due mesi dall’esordio perché al di là dell’impatto emotivo era semplicemente il meglio che potessi fare per lui. Sono passati quasi 3 anni. Micro e sensore rendono esplicita una malattia altrimenti invisibile ma rendono anche mio figlio più  libero sereno e in ottimo compenso. Ben vengano quindi ancorché in qualche modo “discriminanti” come lo sono gli occhiali, apparecchi per i denti, protesi acustiche, ecc. Adulti e soprattutto bambini gli chiedono cosa porti nel marsupietto e lui tranquillo risponde e spiega meglio di quanto farei io!

Le feste

B.B.:  Ciao M., il mio piccolo ha 5 anni e mezzo e da quasi 4 con “la sua macchinetta” come compagna di viaggio e da circa 3 mesi abbiamo anche il Libre. Il micro è davvero una meraviglia proprio per quelle piccole abitudini dei bimbi, le feste di compleanno dove per ore e ore trovano il qualsiasi cibo da poter addentare, le vacanze che magari variano un po’ i tempi, si fanno mangiate con i parenti che non finiscono mai e lui non deve rinunciare a nulla anzi il micro più sensore gli danno un’autonomia fantastica. Arrivano sicuramente molte domande: “ma si è fatto male al braccio?”, “Che bella fascia da capitano?” oppure per il micro ti dicono “che bel marsupio!! Già con il cellulare da piccolo!!” La verità è che affrontando tutto con serenità ci accorgiamo che per loro non è un disturbo.

Salvezza

V.L.: All’esordio D. era piccolissimo (13 mesi) e non si riusciva a gestire. A 17 mesi mi feci un mese e mezzo di ospedale per capire. Conclusione ogni mattina rischiava il coma perché non sopportava la Lantus provata ad ogni ora. Unica soluzione il micro perché dalle 6 all’una era senza basale. Mi dissero uno dei primi in Italia quasi 5 anni fa. Ho detto tutto questo per spiegare come vedo il micro, per me è la salvezza di mio figlio, senza quel meccanismo rischiava la vita tutti i giorni e io ho acquistato un po’ di serenità.

Diabete e bambino. Cosa succede quando mangiamo? La vera storia del cibo dalla bocca agli zuccheri, grazie al lavoro di Fata Insulina.

Da Padre a padre, dico grazie all'autore per aver fatto sorridere la mia bambina. Ci ha relagato uno sprazzo di magia

Ho pianto nel vedere la mia bimba felice  di leggere di una bimba come lei
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