E io pago!
Non c’era tempo fa una pubblicità che recitava così?
Io col diabete di tipo 1, lo posso dire spesso: “E io pago!”
Pago con l’iperglicemia il fatto che quella casa editrice non mi abbia convinta del tutto, e che sia arrivata l’ansia.
Pago il fatto che ieri mi sia andata particolarmente bene col cibo, che per tutta la giornata sia stata benedetta dal Dio dell’insulina, che abbia potuto pranzare con inconsueta abbondanza e concedermi qualche leccornìa, senza vedere alzare la linea sul sensore.
Però ho pagato stanotte: iniezioni su iniezioni su iniezioni, per prepararmi zoppicante al mattino.
Ho pagato i cambi di abitudine della vacanza. Li ho pagati con andamenti glicemici da individuo bipolare.
Quasi fossimo obbligati a ricordarci sempre l’altra faccia della medaglia.
Che ci dovessimo scolpire in fronte che ogni vittoria ha il suo prezzo, che a ogni azione corrisponde una reazione, che dietro al bianco c’è il nero che vuole il passo, e che nulla è regalato.
Una malattia che scolpisce nel DNA l’idea di un’ equilibrio un po’ tirannico tra benessere e malessere, da dover mantenere.
E così il nostro ottimismo diventa un ottimismo bilanciato, prudente, sempre un po’ scaramantico.
Come scrissi altrove, dobbiamo essere ‘equilibristi’.
Io d’altronde ho questa vita qui, l’altra me la ricordo appena, e ormai mi viene spontaneo accogliere i momenti buoni allargandogli spazio dentro di me.
Per far pendere la bilancia dalla parte buona, insomma, almeno se si tratta di intensità.
