Il diabete di tipo 1 è la malattia dell’età adulta. Peccato che il più delle volte esordisca nei bambini e negli adolescenti.
È la malattia della consapevolezza, della ininterrotta percezione di sé, dell’autogestione, dell’autocontrollo, del prendersi carico, 24 ore su 24, del proprio stato di salute.
E allora quando ti ammali finisce la tua infanzia, ed è cosa traumatica, poiché tutti avremmo bisogno, talvolta, di essere bambini, soprattutto da adulti.
Dopo 33 anni di età adulta avrei voglia, di tanto in tanto, “di affidarmi”. A una mamma, a un medico, a una potenza superiore.
“Dai, pensaci tu”
“Mi trovi lei la medicina, mi aiuti. Calcoli lei per me le unità di insulina giuste”
“Dammi la formula magica, che sia buona una volta per tutte”.
Invece la formula non esiste, le unità giuste di oggi saranno da ricalcolare domani, il compenso non potrà essere che provvisorio e non possiamo distogliere lo sguardo né distrarci da noi stessi.
“Dobbiamo avere la situazione sempre sotto controllo”, potrebbe essere il nostro slogan, oppure “Dobbiamo essere il nostro pancreas”.
Di tanto ti viene voglia di chiudere gli occhi, di parlare con Babbo Natale, di affidarti alle ondine di luce sul fondo della piscina, di dimenticare il corpo, di non pensare a niente.
E ogni volta, quando capisci che non lo puoi fare, senti che il bambino dentro di te sta piangendo.
