Non è facile, lo dico perché è così, a volte non è facile. Sembrava una mattina come le altre, ventitré belle facce adolescenti davanti, un mare di cose da fare e da proporre, in testa e nelle mani.
Ha cominciato a scendere abbastanza lentamente. Ho provveduto subito con alimenti zuccherati, mangiando e interrogando, cercando quanto possibile di farlo al contempo.
Ma ha continuato a scendere, anche una volta finiti i succhi, le caramelle, i budini. Ho ridotto le parole, essenzializzato il discorso. Le righe del testo ormai sfocate. Ho proposto alla classe qualcosa che mi consentisse di respirare lenta per qualche minuto. Il cuore ha cominciato a battermi in gola e in testa. Mi sono alzata, ho cercato l’insegnante di sostegno per farla rimanere sulla classe qualche minuto, ma lei era impegnata in attività in un’aula distante. Ho chiamato la bidella, la quale avrebbe dovuto però rimanere altrove. Gliel’ho chiesto per favore e ha capito. Le sedie all’ingresso erano occupate dai colleghi a colloquio con i genitori. Mi sono rifugiata in un’altra aula, ho cercato di non vedere altro che me stessa, ho fissato gli occhi a una penna sul bancone e ho contato i secondi. Sono tornata in aula e ho galleggiato per un po’ sui 70. E poi ha cominciato a scendere di nuovo, ma in maniera meno tumultuosa. Ho allentato un po’ il ritmo della lezione, ho dosato a gocce le energie e sono approdata alla fine del mio orario.
Oggi pomeriggio al lavoro avrò un pomeriggio impegnativo. Mi dico che non potrà che andare meglio.
‘Normalità’ è una parola ovvia, piana e banale.
A volte è straordinaria, impervia e non scontata.

Al fondo
BLOGGER > Luisa Codeluppi: "Il diabete 1 senza filtri" > Al fondo