Mi sento un quintale di diabete, addosso, quando la glicemia si alza al cinema, per il fatto che sono al cinema. E io sono nel pubblico. E il pubblico dovrebbe solo guardare il film.
Mi sentivo tonnellate di diabete addosso quando nei trekking la glicemia saliva e il mio diabetologo diceva di insistere, che “non poteva essere”, che io ero strana.
Mi sento un grammo di diabete, addosso, quando mi concedo un dolcetto e il calcolo dei carboidrati si fa beffe di me. Le ovvietà non fanno male.
Mi sento un chilo di diabete addosso se il sensore suona la notte. Erano chili su chili quando la notte dovevo puntare la sveglia, per evitare le ipo.
Mi sento montagne di diabete addosso quando qualcuno dice che “con l’insulina facciamo una vita normale”. Ed è soddisfatto, lui.
Mi sento solo una manciata di diabete addosso quando lo racconto a chi ascolta a cuore aperto.
Mi sento un mondo di diabete addosso quando la glicemia scende all’improvviso durante la bike in palestra e l’insegnante si mostra seccato.
Ho un camion di diabete addosso quando per far rientrare una glicemia inchiodata cammino sotto la pioggia. Sono molto più leggera se in cielo c’è il sole.
Mi sento schiacciata dal diabete quando ci entra un altro bambino.
Mi sento solo un pulviscolo di diabete addosso quando questa parola dolce la scrivo.
Mi sento tanto diabete addosso quando la mia psiche riversa zucchero nel sangue.
Sto senza peso in certi giorni nati bene.
Ho un barile di diabete addosso quando sparo per ore insulina a vuoto.
Ne ho solo un granello se penso che ho gestito la mia vita ragionando su di lui.
Mi sento solo polvere di diabete addosso se il mio grafico glicemico si muove ad onde tranquille.
Mi sono sentita soffocare nel diabete ogni volta che negli anni mi è stata fatta una promessa inconsistente.
Sono quasi priva di diabete quando un medico vede, insieme alla faccia del mio diabete, la mia.
Addosso
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