Da piccola ogni tanto andavo a casa della mia amica M. All’ingresso dovevamo metterci le pattìne, perché il pavimento era pulito, troppo pulito. Lei, abituata, si muoveva sciolta, io assumevo l’andatura di bambina stitica. Vivevano in una specie di scantinato perché l’appartamento nuovo, al piano di sopra, era bello, troppo bello per essere abitato. Ogni tanto mi mostrava, con trepidazione religiosa, una bambola di ceramica al centro del letto matrimoniale dei suoi genitori. Una figura rigida con la faccia di cera, gli abiti merlettati a ruota nel centro del letto, lo sguardo vitreo di bambina morta. Quelle bambole non le potevamo toccare, perché erano delicate, troppo delicate. Certe ore, con questa malattia, mi sembra di stare ancora a casa di M.
