Ogni tanto me lo chiedo quanto di lui c’è in me. E me lo chiedo di più adesso, dopo una vita insieme, perché nel primo periodo era più facile discernere le due anime.
Oggi mi sono chiesta quanto c’era di lui nella mia voce alterata di ieri, quando tentavo di giocare con mia nipote, con la glicemia a 250. Quanto di me c’era in quel tono nervoso, e quanto di lui.
Nel sonno passato a 360 -dopo il furto del computer- so che lui ha prevalso, c’era poco di me in quella notte, forse nella mia stessa stanchezza io c’ entravo poco, e nella mancanza di sogni.
Non so quanto ci sia di lui o di me nel godere in modo paradisiaco di certi cibi, so che c’è tanto di lui nel non mangiarne più alcuni.
Credo ci sia molto di lui in alcuni esasperati momenti di tilt, quando la somma dei problemi quotidiani è appesantita dal dovermi occupare di lui senza successo.
Credo ci siamo entrambi anche nei momenti di benessere. Nel mio abbandonarmi a questi istanti senza domande e senza difese.
Mi piacerebbe pensare che ci sono solo e soltanto io nella mia capacità di essere felice di poco, nello stare completamente bene per una passeggiata a cielo sereno. Ma so che non è così. Mi spiace ammetterlo, ma c’è lui anche in questo.
