Ho ripensato tante volte agli accadimenti degli ultimi due anni della mia vita! Ne ho cercato di cogliere le più evanescenti sfumature, ho meditato e, da credente o presunto tale, ho cercato le ragioni di tutto ciò; ricollocare al loro posto i pezzi di una vita familiare stravolta, sconquassata per l’arrivo di una malattia cronica… una malattia per la quale non c’è cura ma c’è invece, un mondo tecnologico impensabile che ti consente di affermare che in realtà, c’è di peggio! (la frase più gettonata nel rincuorare e incoraggiare un papà all’apparenza disfatto, demotivato, affranto come lo può essere un papà all’esordio del proprio figlio di tre anni!).
Alla fine, quando ti sembra di poter affermare: “Ce l’abbiamo fatta”, quando sei forte delle esperienze via via acquisite in questa strada in salita, quando ti senti di bisbigliare che dopotutto, il diabete l’abbiamo accettato e soprattutto è stato accettato da chi poi lo vive e lo vivrà in prima persona… da tuo figlio, da chi viene bucato quattro volte al giorno, che viene controllato di continuo, a cui devi togliere un po’ di biscotto, che non può essere sempre libero di dire non ne voglio o ne voglio ancora, che costringi la notte, quando il silenzio della normalità avvolge e culla tutti gli altri, a far mangiare anche solo dello zucchero per mantenergli al giusto livello la glicemia, ecco, dopo tutto questo, arriva una seconda bastonata, un colpo alla schiena che ti piega, ti fa arrivare con il viso a terra trovandoti a respirare fango, acqua e fango…
No, decisamente non era abbastanza… non era sufficiente provare tutto ciò su di un figlio, era necessario che anche con un secondo si vivesse la stessa identica situazione! Mi viene difficile dirlo, ma scriverlo non è più semplice: si, alla fine, ho due figli col diabete, due insulinodipendenti!
Abbiamo rivissuto tutto alla stessa maniera come il primo copione, ma con la sostanziale differenza che la storia sapevamo già come andasse a finire e così adesso a casa, mi ritrovo con sei penne d’insulina, due sensori da cambiare, 8 buchi da fare giornalmente, no, non era abbastanza…
E quella frase che torna agli orecchi :“c’è di peggio”…. ma, questa volta nessuno ha avuto il coraggio di pronunciarmela, anzi se devo dire la verità questo secondo esordio è stato avvolto da una nube di silenzi… come quando ti trovi avvolto dalla nebbia, in un silenzio che per certi versi, fa anche più rumore di uno stadio in sussulto per un gol…
Un silenzio rispettoso del dolore altrui? Non saprei… Mi hanno parlato della sindrome “del piedistallo”: a volte si viene visti al di sopra della normalità e perciò come posti su di un piedistallo come qualcosa da guardare, un bell’oggetto da ammirare e null’altro…
Sono stato nel silenzio fino ad ora; volevo trovare le parole giuste per non essere compatito, ma per trovare in chi leggendomi possa compatirmi, cioè partecipare al mio dolore, per trovare chi sinceramente, possa soffrire con me e per me! Per trovare incoraggiamento perché alla fine anche tutta questa assurdità di vita troverà una sua ragione!
Marco Cefalù
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