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Friggitrici ad aria e glicemie

Riceviamo e pubblichiamo la domanda di E.C. che chiede informazioni sulle friggitrici ad aria

Buongiorno,
sono la mamma di un bambino di 10 anni, diabetico da 3. Vorrei chiederLe se l’uso della friggitrice ad aria potrebbe rendere più facile la gestione delle pietanze che prevedono la frittura. Grazie


LA DIETISTA RISPONDE

Esistono due tipi di friggitrice ad aria:
– friggitrice ad aria, nella quale il calore necessario per la frittura è veicolato dall’olio (che non entra comunque in contatto con l’alimento);
– friggitrice ad aria calda, nella quale il calore è veicolato dall’aria stessa In entrambi i casi, é il calore a permettere la frittura.
Normalmente, gli alimenti fritti hanno un effetto iperglicemizzante per due motivi:
– i carboidrati contenuti nella farina/pane/semola con cui viene preparata la pastella;
– i lipidi contenuti nell’olio/burro, che vengono prontamente assorbiti dall’alimento grazie al calore
Di conseguenza, grazie alle friggitrici ad aria è possibile eliminare il fattore lipidi. Ma, nel caso in cui l’alimento che decidiamo di friggere ad aria sia un alimento surgelato già pronto per essere consumato (i classici bastoncini di pesce, ad esempio), esso è giá fritto con l’utilizzo di lipidi.
È, inoltre, importante ricordare che il calore favorisce la gelatinizzazione dell’amido della panatura, velocizzando l’assorbimento dei carboidrati in essa contenuti. La gelatinizzazione, infatti, allarga le maglie della struttura cristallina dell’amido, favorendone, così, l’accesso agli enzimi digestivi. Cresce, in questo modo, l’indice glicemico dell’alimento in questione.
In conclusione, la friggitrice ad aria permette di ottenere un alimento fritto senza uso di lipidi, aumentando, tuttavia, l’indice glicemico dell’alimento in questione.

Dott.ssa Claudia Maffoni

Diabete e bambino. Cosa succede quando mangiamo? La vera storia del cibo dalla bocca agli zuccheri, grazie al lavoro di Fata Insulina.

Da Padre a padre, dico grazie all'autore per aver fatto sorridere la mia bambina. Ci ha relagato uno sprazzo di magia

Ho pianto nel vedere la mia bimba felice  di leggere di una bimba come lei
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«Sono spesso in iperglicemia dopo aver mangiato carne»

Riceviamo e pubblichiamo la domanda di M.V., che ha difficoltà a gestire le glicemie quando mangia carne.

Buongiorno,
sono diabetico da 30 anni multiiniettivo e da poco applico il conteggio dei carboidrati, però a volte non riesco a fare un buon conteggio, ad esempio quando mangio la carne bianca (tacchino, pollo) cucinata arrosto.
Dopo qualche ora mi trovo in iperglicemia (350-400).
Ho provato ad anticipare l’insulina o farla dopo il pasto, ma il risultato non cambia.
Grazie.
M. V.


LA DIETISTA RISPONDE

La carne non contiene carboidrati, ma proteine e lipidi. Come già scritto in precedenza, anche le proteine ad alcune ore dal pasto sono trasformate in carboidrati (il 60% circa della loro quantità), quindi questa potrebbe essere una possibile spiegazione dell’iperglicemia ad alcune ore dal pasto, soprattutto se si mangia una quantità importante di carne (maggiore di 250 g).

Un’altra spiegazione possibile, è legata al calcolo dei carboidrati: se è da poco che viene applicato, è facile commettere errori. Ma, come per tutte le capacità, è una questione di allenamento! Più esso viene utilizzato, più diventerà efficace.

Ricordo, inoltre, quanto sia importante somministrare l’insulina almeno 15-20 minuti prima di un pasto completo, per evitare che le tempistiche di azione dell’insulina e di aumento della glicemia non corrispondano provocando, così, iperglicemia.

Dott.ssa Claudia Maffoni

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Carboidrati, grassi, proteine, fibra. In che modo influiscono sulla glicemia?

Riceviamo e pubblichiamo la domanda posta dalla mamma di una bambina affetta da diabete tipo1.

Buonasera,
volevo chiedere alla dott.ssa Maffoni una delucidazione sul discorso proteine, grassi, ecc. associati con alcuni alimenti. In che maniera aumentano la glicemia? Tipo i pizzoccheri, che essendo di grano saraceno uniti alla verdura e formaggio, non sono così “potenti”.
Non so se esiste un elenco di questi  alimenti.
Mia figlia ha 9 anni e mezzo ed è diabetica da un anno.
Grazie.
M.


LA DIETISTA RISPONDE

L’esperienza quotidiana ci insegna che non solo i carboidrati, ma tutti i nutrienti hanno un effetto sulla glicemia, più o meno importante.

Sappiamo che il nutriente che maggiormente influisce sulla glicemia, facendola aumentare, sono i carboidrati; in particolare, quelli semplici (zuccheri) determinano un picco glicemico più alto e più rapido rispetto a quelli complessi. (grafico 1)

I grassi (o lipidi) possono influire sull’andamento della glicemia per la loro capacità di rallentare lo svuotamento dello stomaco: in questo modo, i carboidrati contenuti nello stomaco raggiungeranno più tardi il circolo sanguigno (la glicemia è, in effetti, il livello di zuccheri nel sangue).

Le proteine vengono trasformate per circa il 60% in carboidrati a 4-6 ore dal pasto, quindi, quando ci capita di consumare pasti con un elevato contenuto di proteine (ad esempio una grigliata di carne non preceduta da un primo piatto), potremmo osservare un aumento tardivo non previsto della glicemia, proprio per questo motivo. Al tempo stesso, anche le proteine allungano i tempi del processo digestivo, determinando, così, un più tardivo assorbimento dei carboidrati contenuti nel pasto.

La fibra, in particolare quella solubile, ha un importante effetto sul nostro apparato digerente: rallenta lo svuotamento gastrico ed il transito intestinale permettendo, così, un assorbimento più lento dei carboidrati e “spalmato” su un tempo più lungo.

Quindi, un piatto unico come i pizzoccheri, che contiene carboidrati (provenienti dalla pasta), proteine e lipidi (provenienti dal formaggio) e fibra (proveniente dalla verdura), può determinare un aumento più lento e moderato della glicemia. Altro elemento da considerare, è il minore indice glicemico del grano saraceno rispetto al frumento (tabella 1).

Riprendo, dunque, un consiglio presentato nel primo articolo della rubrica, ovvero l’importanza di consumare pasti completi, che contengano carboidrati, lipidi, proteine e fibra nelle giuste quantità, allo scopo di controllare più facilmente la glicemia post-prandiale.

A oggi, non è stata creata una lista completa dell’indice glicemico degli alimenti e dei piatti della tradizione italiana, ma a breve una lista parziale sarà pubblicata sul sito Deebee.

Grafico 1: a sinistra, l’effetto sulla glicemia di un alimento contenente carboidrati complessi, a destra di un alimento contenente zuccheri semplici.

grafico_dietista

Tabella 1: indice glicemico del comune pane bianco (Whole-meal barley flour bread) e del pane di grano saraceno (white bread)

tabella_dietista

Dott.ssa Claudia Maffoni

Bibliografia:
– David JA Jenkins, Cyril WC Kendall, Livia SA Augustin, Silvia Franceschi, Maryam Hamidi, Augustine Marchie, Alexandra L Jenkins, and Mette Axelsen, Glycemic index: overview of implications in health and disease
– Kaye Foster-Powell, Susanna HA Holt, and Janette C Brand-Miller, International table of glycemic index and glycemic load values: 2002
– Costantini AM, Cannella C, Tomassi G, Alimentazione e nutrizione umana

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Come abbassare una glicemia che la notte sale lenta ma inesorabile?

“Mi presento, mi chiamo C. e sono mamma di una bimba affetta da diabete  tipo1 da novembre 2015. Mi domando ormai da tempo quale sia la giusta quantità di grassi e proteine che una bambina di 6 anni e 8 mesi (peso 21kg h 123cm) dovrebbe mangiare per evitare di avere dopo 4/6 ore dalla cena rialzi lenti ed inesorabili che si prolungano per diverse ore fino all’alba. La causa potrebbe essere ricercata nelle quantità di proteine e grassi presenti nella cena? Esiste una formula di qualche tipo per stabilire le giuste quantità? Grazie mille”.

Premesso che potrebbero esserci molteplici cause legate ad un aumento notturno della glicemia (basale da aggiustare, presenza di ormoni contrastanti l’effetto dell’insulina, rapporto insulina:carboidrati della cena non corretto…), è importante conoscere quali siano le giuste quantità di macronutrienti che i nostri bambini di diverse età dovrebbero assumere nell’arco della giornata.
I macronutrienti sono proteine, lipidi e carboidrati; potremmo dire che il nostro corpo ha un fabbisogno minimo di proteine e di lipidi, ma non di carboidrati.
Dunque, una volta raggiunta la quota necessaria di lipidi e proteine, i carboidrati hanno la funzione principale di permettere la copertura del fabbisogno energetico giornaliero.

Ancora una volta, faccio riferimento ad un importante documento, ossia i LARN. Esso contiene le indicazioni per fascia di età di tutti i nutrienti che assumiamo tramite i cibi.
In questo articolo ci concentreremo su proteine, lipidi e carboidrati, ma, ancora prima, parleremo di energia.
L’energia assunta tramite gli alimenti viene misurata in kilocalorie (kcal); esistono cibi con poche kcal per grammo (a bassa densità energetica, come la verdura) ed alimenti con molte kcal per grammo (ad alta densità energetica, come l’olio).
Il nostro corpo necessita di una certa quantità di energia per mantenere attive le funzioni vitali, come respirare, filtrare il sangue grazie ai reni, assorbire nutrienti tramite la digestione, tenere in funzione il cervello… Questa quota di energia è denominata “metabolismo basale” (MB); è pericoloso assumere meno energia di quella prevista dal metabolismo basale, in quanto rischieremmo di compromettere le suddette funzioni vitali.
Il metabolismo basale costituisce normalmente il 55-70% dell’energia totale da assumere.
La restante quota è costituita dalla termogenesi da alimenti (ovvero la produzione di calore che si verifica in seguito all’assunzione di proteine, carboidrati, lipidi e alcool) e dal dispendio energetico legato all’attività fisica. Quest’ultimo costituisce una quota estremamente variabile di energia, dipendente dal livello di attività fisica (LAF). Le tabelle dei LARN specificano diversi livelli di energia sulla base di tre diversi livelli crescenti di attività fisica (25° percentile, mediana e 75° percentile).
Per i bambini e gli adolescenti è importante considerare anche la quota di energia legata alla crescita: particolarmente elevata nel primo anno di vita, si riduce progressivamente in seguito e aumenta di nuovo durante la pubertà.

(clicca la tabella per ingrandirla)
I valori mostrati sono esemplificativi e non hanno significato normativo.

Sulla base dei valori esemplificativi riportati nella tabella precedente, è ora possibile calcolare i grammi di carboidrati, proteine e lipidi di riferimento per la popolazione italiana:

Proteine Lipidi Carboidrati
1-3 anni: 14 g/die

4-6 anni: 19 g/die

7-10 anni: 31 g/die

11-14 anni: 48 g/die

15-17 anni MASCHI: 62 g/die

15-17 anni FEMMINE: 50 g/die

1-3 anni: 35-40% energia totale

> 4 anni: 20-35% energia totale

45-60% energia totale

Ricordo che le proteine apportano 4 kcal/g, i lipidi 9 kcal/g e i carboidrati 4 kcal/g.
Quindi una bimba di 7 anni circa, con uno stile di vita attivo, dovrebbe assumere nell’arco di una giornata 31 g di proteine (124 kcal), 58 g di lipidi (525 kcal) e 250 g di carboidrati (1000 kcal).

Gli intervalli energetici per lipidi e carboidrati sono ampi perché “uno compensa l’altro”: se assumiamo una quota di carboidrati vicina al 60% dell’energia, dovremmo assumere una quantità di lipidi vicina al 20% dell’energia, per evitare di sbilanciare la composizione dell’alimentazione.

Dott.ssa Claudia Maffoni

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Cena al ristorante e risveglio con glicemia alta

Riceviamo e pubblichiamo la domanda posta dalla mamma di un bambino affetto da diabete di tipo 1. 

Vorrei un consiglio, come mai mio figlio dopo una cena al ristorante, al mattino si sveglia sempre con la glicemia alta?
Premetto che dopo 2/3 ore dopo cena la glicemia va bene.
Grazie.


LA DIETISTA RISPONDE

Una possibile spiegazione a questo quesito può derivare dal condimento presente nei piatti che ordiniamo al ristorante: l’olio o il burro, infatti, sono facilmente presenti in quantità maggiori rispetto a quelle normalmente utilizzate nella pratica casalinga, determinando così un marcato effetto di rallentamento della digestione e dell’assorbimento dei carboidrati contenuti nel pasto consumato, non visibile nelle prime ore dal pasto, ma solo a 7-8 ore di distanza.

Se Suo figlio è in terapia multiiniettiva, può provare a dividere la quantità di insulina in due somministrazioni, una prima di iniziare a cenare e l’altra a circa mezz’ora dall’inizio della cena. Se ha un microinfusore, può essere utile scegliere un bolo prolungato.

Inoltre, al ristorante, non abbiamo la possibilità di rispettare esattamente le tempistiche adeguate nella somministrazione dell’insulina (15 minuti prima dell’inizio del pasto se la glicemia è nei valori target ed utilizziamo un analogo rapido): se la somministriamo nel momento stesso in cui iniziamo a mangiare, i carboidrati potrebbero già essere arrivati al circolo sanguigno in grande quantità prima dell’inizio dell’azione dell’insulina, quindi, fino a quando l’insulina è in circolo, la glicemia potrebbe essere sotto controllo, per poi salire successivamente al termine dell’azione dell’insulina (3-5 ore dopo l’iniezione per gli analoghi rapidi).

Un altro commento che possiamo fare in questo contesto riguarda l’impossibilità di conoscere l’esatta composizione del piatto e quantitativo di carboidrati in esso contenuto: quando siamo fuori casa, possiamo fare solo una stima dei carboidrati che si stanno per consumare, quindi è più facile sovra- o sottostimare il quantitativo esatto.

Inoltre, la porzione potrebbe essere più abbondante di quella abituale e, se parliamo di un secondo piatto, le proteine in esso contenute, trasformandosi in carboidrati, potrebbero contribuire all’aumento tardivo della glicemia.

Ricordiamoci che, se seguiamo le regole di una sana e corretta alimentazione, ceneremo o pranzeremo al ristorante al massimo una volta alla settimana e, non meno importante, abbiamo la possibilità di correggere la glicemia al mattino successivo.

Dott.ssa Claudia Maffoni

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Pasti e brusche iperglicemie: come evitarle?

Riceviamo e pubblichiamo la domanda posta da F., diabetico di tipo 1. 

Buongiorno dottoressa, per evitare brusche iperglicemie, che filosofia alimentare deve adottare in generale un diabetico di tipo 1? Grazie in anticipo.


LA DIETISTA RISPONDE

Per la risposta a questa domanda, rimando all’articolo precedentemente pubblicato, che riporta come prima strategia quella di costruire pranzo e cena come pasti completi: primo, secondo, verdure condite con olio e frutta. In questo modo, i carboidrati contenuti nel pasto saranno digeriti ed assorbiti più lentamente, evitando un aumento repentino della glicemia.

Inoltre, può essere un utile accorgimento tenere sotto controllo l’indice glicemico del pasto, privilegiando cereali di tipo integrale, verdura intera o a pezzi piuttosto che frullata, mangiando, laddove possibile, frutta con la buccia ed evitando bibite zuccherate.

Se l’iperglicemia viene registrata soprattutto in corrispondenza del consumo di un determinato piatto o alimento, può essere utile pesarlo o ricalcolare i carboidrati in esso contenuti.

Importante, infine, è la corretta somministrazione dell’insulina e nella giusta tempistica, circa 15 minuti prima del pasto se la glicemia preprandiale è nel target.

Dott.ssa Claudia Maffoni

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Proteine e glicemia: come gestirle?

A volte la glicemia postprandiale (dopo il pasto) non va esattamente come avevamo previsto, anche se siamo certi di avere calcolato i carboidrati del pasto in maniera più che precisa. Cosa ci sfugge?

Negli alimenti possiamo trovare tre tipi di macronutrienti: carboidrati (li conosciamo bene!), proteine e lipidi.
Alcuni alimenti contengono in prevalenza carboidrati (pane, pasta, cracker, caramelle), altri alimenti contengono in prevalenza proteine (carne magra, bresaola) e ci sono, infine, alimenti a prevalenza di lipidi (olio, burro, margarina).
Quando componiamo un pasto completo, inseriamo tutti e tre i macronutrienti nello stesso pasto. A volte però, diventa difficile stimare la corretta quantità di insulina da somministrare: l’esempio lampante è la pizza.
Essa è costituita da una base a prevalenza di carboidrati, farcita con pomodoro e mozzarella (in prevalenza lipidi e con una parte di proteine).

Attualmente, la letteratura scientifica è ricca di studi sulla gestione della glicemia in seguito all’assunzione di pasti ricchi di proteine (più di 25 g) e di lipidi (più di 40 g).
Tra gli studi più recenti, solo due[1],[2] suggeriscono la mancanza di un legame tra assunzione di pasti con tante proteine e iperglicemia postprandiale, evidenziando però che, in assenza di insulina, l’assunzione di proteine può favorire la gluconeogenesi (produzione di zuccheri a partire dalle proteine da parte del fegato), aumentando la glicemia a 4-5 ore dal pasto proteico. Questo effetto è assente per un pasto di soli lipidi.
Questi studi sottolineano, inoltre, la mancanza di evidenze scientifiche sull’utilità di aggiungere proteine al pasto serale per evitare ipoglicemie notturne.

Una review[3] (cioè un riassunto di più studi) del 2015 ha cercato di fare maggiore chiarezza sulla questione, arrivando alle seguenti conclusioni:

  • I lipidi determinano un aumento della glicemia nelle prime 2-3 ore dal consumo del pasto, per il ritardato svuotamento gastrico e per un aumento della resistenza all’azione dell’insulina, dovuto soprattutto alla presenza nel circolo sanguigno di acidi grassi liberi.
  • Le proteine determinano un aumento della glicemia a 3-4 ore dal pasto, se nello stesso pasto sono presenti carboidrati, o a 5 ore del pasto, se nello stesso pasto sono assenti i carboidrati. L’effetto iperglicemizzante delle proteine è rinforzato, oltre che dalla presenza di carboidrati, dalla presenza di lipidi nello stesso pasto. Questo studio stima che 40 g di proteine sommati a 35 g di lipidi sarebbero equivalenti a 20 g di carboidrati assunti senza insulina.
  • Nella pratica, per pasti contenenti più di 40 g di lipidi (equivalenti a 4 cucchiai da minestra di olio), incrementare la quantità di insulina del 30-35%, somministrando il 50% del bolo 15 minuti prima del pasto ed il rimanente 50% nelle 2 ore/2 ore e mezza successive. Per chi è in terapia multiiniettiva, somministrare a 1 ora dal pasto un ulteriore 30-35% di insulina.
  • Per pasti contenenti solo proteine, per un quantitativo inferiore ai 75 g, l’insulina non deve essere aggiunta: in realtà è pressoché impossibile ricreare un pasto di questo tipo, in quanto gli alimenti contenenti proteine contengono anche lipidi generalmente (che rinforzano l’effetto iperglicemizzante delle proteine); nel presente studio, questo tipo di pasto è stato creato tramite l’uso di un integratore costituito da sole proteine. Per pasti contenenti almeno 30 g di carboidrati e 40 g di proteine (cioè circa 200 g di carne magra), aumentare la dose di insulina del 15-20%.
  • L’effetto iperglicemizzante delle proteine dipende dalla quantità di proteine presenti nel pasto, come mostra il seguente grafico, che mette in relazione l’aumento della glicemia al tempo trascorso dall’assunzione dei diversi tipi di pasto[4]:

proteine_maffoni

  • È di fondamentale importanza somministrare il bolo almeno 15-20 minuti prima del pasto e non nell’immediato (errore piuttosto comune).

Concludo riportando altri suggerimenti simili presenti in letteratura per pasti ricchi di proteine e lipidi:

  • Effettuare un bolo di tipo dual-wave, con il 70% dell’insulina somministrata subito ed il 30% somministrato in 3 ore dal pasto[5].
  • Aumentare la dose di insulina del 25-30%, dividendo il bolo nel 50% somministrata subito ed il 50% somministrato in 2 ore e mezza dal pasto; in caso di iperglicemia, aumentare l’insulina somministrata sul lungo termine e ridurre quella somministrata nell’immediato. Per pazienti in terapia multiiniettiva, effettuare un’iniezione all’inizio del pasto ed una 60-90 minuti dopo[6].

L’ultimo studio preso in considerazione consiglia, inoltre, di ridurre temporaneamente la basale in caso di ipoglicemia, piuttosto che ridurre la quantità di insulina somministrata tramite bolo preprandiale.

Ricordo che gli studi scientifici possono fungere da traccia, suggerendo delle possibili strategie, che possono non essere adatte a tutti e in tutte le situazioni. Questi suggerimenti, uniti alla pratica quotidiana, potrebbero essere la giusta strada per capire come gestire pasti di questo tipo.

Dott.ssa Claudia Maffoni

[1] Protein and Diabetes: much advice, little research. Current Diabetes Reports 2002; 2:457–464
[2] Effect of dietary protein on post-prandial glucose in patients with type 1 diabetes. J Hum Nutr Diet., 2013; 26: 606–611
[3] Impact of Fat, Protein, and Glycemic Index on Postprandial Glucose Control in Type 1Diabetes: Implications for Intensive Diabetes Management in the Continuous Glucose Monitoring Era. Diabetes Care 2015; 38:1008–1015
[4] Influence of dietary protein on postprandial blood glucose levels in individuals with Type 1 diabetes mellitus using intensive insulin therapy Diabet. Med. 2016; 33: 592–598
[5] Benefit of supplementary fat plus protein counting as compared with conventional carbohydrate counting for insulin bolus calculation in children with pump therapy. Pediatric Diabetes 2012; 13: 540–544
[6] Optimized Mealtime Insulin Dosing for Fat and Protein in Type 1 Diabetes: Application of a Model-Based Approach to Derive Insulin Doses for Open-Loop Diabetes Management Diabetes Care 2016; 39:1631–1634

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Cos’è preferibile mangiare per prevenire ipoglicemie notturne?

Riceviamo e pubblichiamo la domanda posta da M., alla ricerca di alimenti che possono aiutare a prevenire le ipoglicemie notturne.

In multiiniettiva, prima di andare a dormire, si possono mangiare delle proteine per avere un sostegno durante la notte e avere un contrasto alla Lantus contro eventuali ipoglicemie notturne. Mi domandavo se in base a questo stesso principio, posso deliberatamente ingerire qualche grammo di grasso che parimenti alle proteine ha un effetto ritardato rispetto all’assunzione ma coprirebbe una fascia oraria ancora più lontana?
Se sì quale tipo di grasso è più usato o indicato a questo scopo?


LA DIETISTA RISPONDE

Una problematica molto diffusa, soprattutto nei bambini, è quella delle ipoglicemie che si verificano durante la notte.

Un accorgimento che permette di evitare l’abbassamento notturno della glicemia, prolungando, così, l’autonomia durante il digiuno, è quello di utilizzare l’amido di mais (o maizena): esso è un polisaccaride, o carboidrato complesso (costituito da catene più o meno ramificate di monosaccaridi uniti tra loro con legame glucosidico), perciò viene assorbito dall’apparato digerente lentamente e gradualmente.

L’indicazione migliore è quella di assumere la maizena tra mezz’ora e un’ora dalla fine della cena, può essere sciolta in acqua fredda, nel latte freddo o in uno yogurt, deve essere consumata rigorosamente cruda, perché la cottura renderebbe la digestione più rapida, eliminando, quindi, l’effetto ricercato. È meglio evitare, dunque, di scaldare anche il liquido/alimento, nel quale sciogliamo l’amido.

“Non somministrate insulina per la maizena, altrimenti il suo effetto viene annullato”

La quantità di maizena da assumere varia in base al peso corporeo, in questo caso può iniziare con 1 g di maizena per kg di peso, fino ad arrivare a 1,5 g per kg di peso.

Questo stratagemma può rivelarsi molto utile anche in caso di ipoglicemie tardive dovute all’attività fisica: quando pratichiamo attività fisica, infatti, il muscolo consuma il glicogeno (un polisaccaride) in esso immagazzinato; questa riserva viene, dunque, ripristinata in seguito all’attività fisica prelevando gli zuccheri per costruire il glicogeno direttamente dal sangue grazie all’insulina, abbassando, così, la glicemia.

Dott.ssa Claudia Maffoni

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Gestione del pasto: proteine animali vs proteine vegetali

Riceviamo e pubblichiamo la domanda posta da A.F. sulla gestione e l’assimilazione delle proteine nella persona  affetta da diabete di tipo 1.

Salve dott.ssa Maffoni,
sono diabetico di tipo 1 ed utilizzo il sensore FreeStyle Libre e Dexcom G4.
Utilizzo con successo la conta dei carboidrati e la mia domanda verte sulle differenze che noto nelle ore successive ad un pasto che contiene proteine. Grazie al sensore ho notato che le proteine animali mi “salgono” a circa 3 ore dal pasto e devo correggerle con un rapporto di 10:1 altrimenti la mia glicemia sale. Se il pasto contiene invece solo proteine vegetali, queste mi arrivano anche dopo 4 ore dal pasto e devo correggerle con un rapporto di 15:1. Se il mio pasto non contiene proteine o solo in minima parte (inferiori a 10 gr. per tutto il pasto ad esempio), non faccio alcun tipo di correzione e la glicemia rimane stabile.
Questa diversità di comportamento è dovuta al fatto che le proteine vegetali sono in effetti migliori rispetto a quelle animali oppure è legata alla loro composizione di amminoacidi ?
Per un diabetico di tipo 1 che (come nel mio caso senza alcun tipo di problemi al fegato e reni), volesse in particolar modo fare attività sportiva intensiva, che quantitativo in grammi di proteine/Kg di peso corporeo al giorno in totale è possibile ingerire?
Quando ero “normale”, ovvero prima dell’esordio, la mia dieta in fase di massa muscolare in palestra prevedeva anche 2 grammi di proteine (all’epoca pesavo 80 kg e ne ingerivo 160 grammi per i soli mesi di massa, circa 4). Adesso a causa del diabete ne peso 62 e voglio riprendere la massa muscolare persa.

Grazie per la sua disponibilità se vorrà rispondere ai miei dubbi e quesiti.
Cordialità,
A. F.


LA DIETISTA RISPONDE

Per il primo quesito, ossia la differenza tra proteine vegetali ed animali, una prima spiegazione risiede nel quantitativo di fibra associato agli alimenti che contengono proteine vegetali: la fibra, assente negli alimenti di origine animale, può rallentare l’assorbimento dei carboidrati e delle proteine del pasto, determinando così, l’effetto osservato da A., ovvero un aumento più moderato della glicemia ad almeno 4 ore dal pasto.

Un’altra spiegazione è legata alla digeribilità (termine tecnico per indicare la percentuale in cui gli aminoacidi di una proteina sono assorbiti nel tratto gastrointestinale): la digeribilità è più bassa negli alimenti di origine vegetale (soprattutto se non processati o minimamente processati), perché la presenza di cellule vegetali integre o di inibitori delle proteasi (gli enzimi che scindono le proteine in aminoacidi) può ostacolarne la digestione.

Le proteine sono, inoltre, trasformate per il 60% in carboidrati a 4-6 ore dal pasto; per questo motivo A. evidenzia la non necessità di correggere la glicemia se il pasto non contiene proteine (ricordiamo che, nel quotidiano, è, però, meglio assumere pasti completi, che contengano anche proteine).

Per ovviare a questa problematica, sono stati fatti dei tentativi di proporre il calcolo delle proteine assieme a quello dei carboidrati, ma, a oggi, esso non è ancora oggetto di raccomandazione per i pazienti con diabete per via della sua complessità e difficile applicabilità alla vita di tutti i giorni. Gli esperti si stanno interrogando su come sia possibile trasformare questa complessa pratica in semplici indicazioni adatte a tutti i pazienti.

Concludo la risposta al primo quesito ricordando che la differenza tra proteine animali e vegetali risiede nella composizione in aminoacidi: le proteine animali contengono tutti gli aminoacidi essenziali (che il nostro corpo non è in grado di produrre ma deve necessariamente introdurre dall’esterno), mentre quelle vegetali sono, in genere, carenti di almeno un aminoacido essenziale. Per questo motivo, le raccomandazioni suggeriscono di consumare più fonti nello stesso pasto di proteine vegetali, in modo da sopperire alla mancanza di aminoacidi essenziali, ad esempio pasta e fagioli, riso e piselli, polenta e lenticchie… (in termini tecnici si parla di “complementazione aminoacidica”).

Le attuali linee guida raccomandano per l’adulto (uomo e donna) un apporto giornaliero medio di 0,9 g/kg di proteine, fino ad un massimo di 1,1 g/kg, sottolineando che per coloro che praticano un’attività sportiva a livello “dilettantistico”, allenandosi 1-2 ore al giorno per 3-4 volte a settimana, è ampiamente sufficiente attenersi alle raccomandazioni della popolazione generale, senza particolari incrementi.

Nel caso di attività sportive esercitate con continuità (almeno 9-10 mesi all’anno), regolarità (5-7 giorni alla settimana, 2-3 ore per seduta) e buona intensità, si raccomanda un aumento dell’apporto proteico rispetto alla popolazione generale:

  • nel caso di prestazioni aerobiche di durata superiore a 60 minuti, l’apporto deve essere pari a 1,2-1,4 g/kg al giorno;
  • nel caso di prestazioni particolarmente intense e di durata superiore ai 90 minuti, il fabbisogno proteico è di poco maggiore, 1,2-1,7 g/kg al giorno, soprattutto nelle fasi di allenamento finalizzato all’incremento della forza.

Le linee guida riportano, inoltre: “Un apporto proteico pari a 1,6 g/kg/die (fino ad un massimo di 2 g/kg/die), ottenuto senza integratori o supplementi, è sufficiente a coprire le necessità proteiche degli atleti impegnati nelle specialità che richiedono grandi masse muscolari ed espressioni di forza. Questo deve essere associato ad un generoso apporto di carboidrati (55-60% dell’energia).
Le proteine di elevata qualità proteica (di origine animale) sono considerate più idonee a promuovere l’accrescimento della massa muscolare”.

Raccomando di rivolgersi ad esperti della nutrizione (dietisti, dietologi) prima di intraprendere qualsiasi modifica della propria alimentazione allo scopo di aumentare la massa muscolare tramite un’attività sportiva intensa.

Dott.ssa Claudia Maffoni

Bibliografia:
– LARN IV Revisione
– Kordonouri O, Hartmann R, Remus K, Bläsig S, Sadeghian E, Danne T, Benefit of supplementary fat plus protein counting as compared with conventional carbohydrate counting for insulin bolus calculation in children with pump therapy

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