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Open source e diabete. «Il mio voto? Cinque…», dott. Giulio Maltoni

Continuiamo a parlare di sistemi open, con un occhio di riguardo ai software di Pancreas Artificiale non autorizzati ufficialmente dalla comunità scientifica. A seguito della bocciatura sonora dei sistemi open source da parte della prof.ssa Ivana Rabbone, vicepresidente SIEDP, e dell’acclamazione a pieni polmoni (e voti) di chi lo usa quotidianamente su se stessa, oggi vi proponiamo l’intervista al Dott. Giulio Maltoni, pediatra diabetologo del Policlinico Sant’Orsola di Bologna.

Le soluzioni proposte dalla community del diabete, quindi arrivate “dal basso” e non ufficiali (chiamiamole soluzioni fai-da-te) tentano di risolvere spesso problemi laddove le soluzioni offerte dai canali ufficiali sono invece lacunose. Basti pensare alla visione a distanza della glicemia: nata nel 2014 con il sistema Nightscout, è stata lanciata ufficialmente da Dexcom, con il sensore G5, ben 3 anni dopo. Diventando parte integrante, spesso irrinunciabile della gestione anche da parte dei medici.

Pur tuttavia, è di poco tempo fa il comunicato FDA (l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti farmaceutici) che mette in guardia i pazienti dall’utilizzo di soluzioni non ufficiali di qualsiasi genere.

Lei si ricorda come ha accolto e cosa ha pensato inizialmente di Nightscout? L’ha consigliato o sconsigliato ai genitori del suo centro? All’inizio, come Lei ben saprà, queste soluzioni, anche le migliori, hanno avuto vita dura e molte difficoltà di diffusione…

Quando è uscita la notizia sul sistema Nightscout (monitoraggio della glicemia da remoto), ho sinceramente pensato che fosse una gran bella idea e mi sono sentito di parlarne (avendo comunque un costo aggiuntivo per la famiglia, abbiamo semplicemente reso consapevoli di questa possibilità, senza spingere all’acquisto) soprattutto con le famiglie per cui sembrava essere più adatto, quindi per bambini piccoli, con marcata variabilità glicemica, che passavano molto tempo fuori casa (asilo, scuola), ecc…

Dopo la visione a distanza delle glicemie, la community non si è fermata. Forse perché ha libertà di movimento e persone molto motivate (una mamma T3 esperta di informatica o elettronica, ovviamente ha una spinta maggiore di un qualsiasi ingegnere di una qualsiasi casa farmaceutica)…

Aggiungo però che per un qualsiasi ingegnere di una qualsiasi casa farmaceutica, la messa in commercio di un dispositivo medico passa sotto mille passaggi (burocratici e non) e procedure che vogliono saggiarne l’efficacia e la sicurezza. Ad esempio, gli studi sul pancreas artificiale del gruppo di Cambridge (Dott. R. Hovorka), sponsorizzati da JDRF, sottoposti ogni volta al comitato etico locale con tempi tecnici non da sottovalutare, sono partiti con la valutazione di una notte, poi di più notti, poi di notti dopo esercizio fisico, con pasti a diverso apporto e qualità di CHO, studi che hanno simulato una cattiva gestione (senza inserire i carboidrati o inserendo un valore non corretto), studi fuori dal setting ospedaliero, ecc…

Tra i sistemi non ufficiali, ve ne sono alcuni ancora oggi definibili pionieristici. Ci sono quelli che permettono la sostituzione del telecomando con lo smartphone, quelli che somministrano l’insulina a distanza, per arrivare al “Closed Loop” open source (o “Pancreas Artificiale”).

Andiamo per gradi e facciamo un primo esempio: alcune app consentono di usare lo smartphone per pilotare microinfusori, come Accu-Chek, Dana, Omnipod, ecc. in modo più fluido e veloce, sostituendo di fatto il telecomando in dotazione. Che ne pensa?

Ogni volta che viene presentato un nuovo microinfusore, anche noi operatori chiediamo se potrà essere gestito dal cellulare (sembra l’evoluzione naturale, avendo già la possibilità di visualizzare le glicemie e di ricevere gli allarmi ipo ed iper…).
Ci viene spiegato che il limite a questo è, almeno per l’Europa, una legge che non consente di poter utilizzare un dispositivo usato come smartphone anche come telecomando per un dispositivo medico.

L’app AndroidAPS permette di comandare il microinfusore anche da lontano: somministrazione del bolo e modifica della basale si possono comandare via SMS e vanno a sostituire di fatto “la telefonata e la mano” dell’insegnante a scuola o dei nonni. Come ritiene questa pratica?

Pensando alla gestione del bambino con diabete a scuola, che richiede di fatto l’impegno e la collaborazione di un gruppo numeroso di persone, la possibilità che sia il genitore, con comodo, che possa gestire da casa il bolo, sembra risolvere gran parte dei problemi. La vedo come opzione valida soprattutto per i bambini piccoli, che frequentano l’asilo.
Qualche perplessità: servirebbe comunque una telefonata di conferma dell’arrivo e orario del pasto; la maestra/infermiere che somministrano l’insulina a scuola conoscono il bambino e le sue abitudini; la gestione del pasto a scuola è un momento importante del percorso verso l’autonomia del bambino ed in alcuni casi anche per la condivisione con i compagni, Inoltre, alcuni genitori ci riportano che il momento in cui il bambino è a scuola e loro al lavoro è forse l’unica parte della giornata in cui pensano meno alla gestione del diabete e, se c’è una buona collaborazione con le insegnati ed un clima di fiducia reciproca, riescono a “delegare” questa responsabilità per qualche ora.

Visto l’argomento, è inevitabile non passare a un gradino più alto: ai sistemi definiti “Closed Loop” open source (o, per gli amici, “Pancreas Artificiali”) che promettono di gestire autonomamente la glicemia del paziente diabetico. Loop e AndroidAPS, nello specifico, modulano il rilascio di insulina sulla base di andamento glicemico, IOB, attività fisica e carboidrati ingeriti. Tutto non ufficiale, quindi a rischio e pericolo del paziente. Ma è una realtà, sempre più allargata e numerosa, e la controparte “ufficiale” (diabetologi, case farmaceutiche ecc ecc) non possono far finta che non ci sia. Perché in Italia non se ne parla, certamente con tutte le precauzioni e le attenzioni del caso?

Iniziamo dicendo che non mi piace molto la contrapposizione pazienti e diabetologi/case farmaceutiche. Il medico diabetologo deve agire con cautela e quello che fa viene fatto nell’interesse dei pazienti.
E’ un po’ come prescrivere un farmaco che non ha superato i numerosi passaggi per la messa in commercio. Chi assumerebbe o somministrerebbe ai propri figli un farmaco che non ha superato tutti i controlli di sicurezza ed efficacia? Il rischio maggiore è per i pazienti stessi. Nessun diabetologo teme di perdere il proprio lavoro (ci saranno comunque nuovi esordi) e in fin dei conti chi può vedere male un qualcosa che alleggerisca il proprio lavoro ed aumenti la salute e la soddisfazione dei propri pazienti?

Detto ciò, non si possono infatti negare i risultati ottenuti da quanti utilizzano i dispositivi Open Aps, e mi sembra che anche la comunità scientifica si sia aperta a questo. Non è così raro vedere in congressi nazionali ed internazionali comunicazioni riguardanti l’utilizzo di questi dispositivi.

Secondo lei è prematuro in generale, o soltanto pericoloso a livello medico (basti pensare all’allarme hacker lanciato tempo fa)?

Le perplessità che tutti sollevano nascono proprio dal fatto che i sistemi “fai da te” sono una forma di hackeraggio di dispositivi medici rilasciati in commercio per essere utilizzati in maniera diversa. Di questo bisogna essere consapevoli.

Perché in Italia non si parla del Pancreas Artificiale fai-da-te, certamente con tutte le precauzioni e le attenzioni del caso?

Forse perché proprio all’estero sono nati e hanno avuto una più rapida diffusione.
In Italia, la diabetologia pediatrica rappresenta un buon modello di cura e nei vari studi internazionali pubblicati, i nostri dati, in termini di glicata (seppur con i limiti di questo parametro) e di complicanze, sono sempre tra i migliori.

Abbiamo cercato testimonianze di chi usa felicemente e con grandi soddisfazioni il Closed Loop open, che riportiamo qui, e abbiamo visto curve glicemiche da fare invidia. Lei cosa ne pensa, dopo aver letto le parole di genitori e pazienti?

Rispetto ai sistemi Closed Loop Fai-Da-Te penso che, dal punto di vista di efficacia, tali sistemi sembrano migliorare i principali parametri considerati indicativi di compenso glicemico, come il time in range. Tuttavia, ricordiamoci che le testimonianze di chi utilizza tali sistemi non sono assolutamente rappresentative, ma riflettono le esperienze dei pochi che sono riusciti a configurare ed utilizzare correttamente il sistema senza troppi problemi. L’utente medio, che noi conosciamo bene, ha spesso grosse difficoltà nel gestire anche le cose più semplici. Se genitori come lei sono capaci di creare app per analizzare i dati e spedirli a terzi, le posso assicurare che ce ne sono altrettanti che hanno difficoltà ad eseguire banali calcoli aritmetici.

In relazione ai sistemi Closed Loop fai-da-te che, ricordiamolo, comandano il microinfusore e infondono insulina automaticamente, secondo lei, questi possono essere usati:
A) Da chiunque
B) Con cautela, solo da pazienti adulti e illuminati
C) Con cautela, anche su minorenni, da genitori illuminati
D) Non dovrebbero essere mai usati, da nessuno
E) Altro (specificare)

Troppo pochi ancora i dati per poter capire il target migliore e la sicurezza dei dispositivi. La caratteristica di essere “fai da te” rende molto variabile la casistica dei “Pancreas Artificiali” e dall’altra parte taglia fuori una parte di pazienti/famiglie che non ha (o non sente di avere) le competenze tecnologiche per questi dispositivi.
Va inoltre considerato che viene meno tutta la parte di supporto e assistenza tecnica forniti dalle ditte (sostituzioni in garanza, ecc…).

Da zero (bocciate, assolutamente contrario) a dieci (promosse a pieni voti, assolutamente pro), quanto considera papabili tutte queste soluzioni open source applicate al diabete?

Direi 5, poiché a mancanza di dati su safety ed efficacia, seppur con testimonianze dirette di alcuni fruitori, non permette la piena promozione.

Diabete e bambino. Cosa succede quando mangiamo? La vera storia del cibo dalla bocca agli zuccheri, grazie al lavoro di Fata Insulina.

Da Padre a padre, dico grazie all'autore per aver fatto sorridere la mia bambina. Ci ha relagato uno sprazzo di magia

Ho pianto nel vedere la mia bimba felice  di leggere di una bimba come lei
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Il colore dei sogni

Ogni volta che fai qualcosa per gli altri, pensando alla loro felicità, ti senti meglio. E questo alla fine ti riempie il cuore di gioia; è un'esperienza che può cambiare la vita per sempre.

Come può un giovane avvocato diventare mago? E un reparto di un ospedale diventare “la casa di Nemo”? Chiedetelo ad Andrea Adamo, il papà di una bambina affetta da diabete da un paio di anni e sentirete da subito il suo entusiasmo contagiarvi, le sue parole restarvi inchiodate nelle tempie, il suo sguardo acceso di grinta vi resterà nella retina a lungo.

“Le immagini che mi erano rimaste in mente il primo giorno in cui siamo entrati nel reparto del Centro Regionale di Diabetologia Pediatrica del Policlinico Vanvitelli, nello smarrimento che tutti noi abbiamo provato, erano i volti dei genitori, i disegni dei bambini sui muri e il grigiore che avvolgeva quel luogo, in grande contrasto con il sorriso del team del Dott. Iafusco”. E se in tanti quelle immagini cercano di cancellarle dalla memoria, Andrea Adamo le ha tenute stampate in mente, costruendoci intorno quello che lui chiama il suo piccolo sogno.

>>> Guarda il video <<<

Nella grande hall dell’ospedale napoletano arrivano famiglie intere con bimbi piccoli e ragazzi più grandi. L’occhio allenato nota caramelle date al volo per correggere una ipo in arrivo, sguardi ai cellulari o smartwatch per controllare le glicemie, occhi stanchi da notti insonni. Alcuni si conoscono, si fermano a salutarsi, si abbracciano; altri salgono dritti al piano del reparto di diabetologia. Al reparto blu, blu come il mare che da qui non si vede, ma che ne senti quasi il rumore tra le pareti curve dipinte come nel più bello dei sogni. Un mondo marino, realizzato da Ospedali Dipinti, il progetto artistico a disposizione di Onlus, Fondazioni e privati che vogliono donare reparti dipinti a strutture ospedaliere.

La meraviglia dei piccoli e l’emozione dei grandi diventa la colonna sonora di questo pomeriggio. Il Dott. Iafusco, con la sua allegria contagiosa, non riesce ad abbracciare tutti, ma “consideratevi baciati”. Gli altri membri del team, i giovani specializzandi, persone che vengono a vedere, giornalisti e cameraman. Tutti riflessi negli occhi emozionati di chi ha realizzato tutto questo, l’avvocato-mago che avrebbe preferito non fosse tirato in ballo e parlare di sé. Andrea, che oltre ad aver trovato i fondi necessari, ad aver coinvolto conoscenti e amici, ha dedicato ogni minuto del suo tempo libero al suo sogno trasformandosi in operaio, facchino, elettricista o capocantiere, sorride e mi ripete che “ci aspettiamo sempre che gli altri facciano qualcosa, associazione di turno o addetti ai lavori. Ed è sbagliato, perché dobbiamo cogliere l’opportunità di fare qualcosa, sempre e per chiunque incroci la nostra strada”. E questa nuova sala è la prova vivente “perché io ho ricevuto aiuto da quasi ogni persona a cui mi sono rivolto; spesso le persone hanno bisogno solo di un’occasione per poter fare qualcosa per gli altri e se non lo fanno in autonomia, allora bisogna chiedere, come d’altronde ho fatto io”.

Durante la presentazione della sala d’attesa messa a nuovo si raccontano episodi divertenti accaduti durante i lavori, si presentano nuovi studi del team di diabetologia del Policlinico, si parla di sport con Monica Priore, dei ragazzi ballano armoniosamente con FreeStyle Libre al braccio, si ripercorrono storie di diabete di altri tempi e ci si augura tutti insieme l’arrivo di una cura definitiva.

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Fuori è quasi buio. Il cielo è rimasto blu sono dentro al reparto. L’aria sa di questa singolare emozione che ti fa sentire parte di qualcosa di nobile. Con la consapevolezza che sì, se vuoi, anche tu puoi fare qualcosa per gli altri. Senza aspettare.

Il colore! Che linguaggio profondo e misterioso, il linguaggio dei sogni.  (Paul Gauguin)

Diabete e bambino. Cosa succede quando mangiamo? La vera storia del cibo dalla bocca agli zuccheri, grazie al lavoro di Fata Insulina.

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La campagna della discordia. “FDG non può arrogarsi il diritto di parlare per tutti”

Antonella Ielasi: Lo rifarei tale e quale. Ringrazio FDG, per merito loro ho sentito l’amore e l’approvazione di numerosissime persone

Come ogni anni, con l’avvicinarsi della Giornata Mondiale del Diabete si sono moltiplicate le iniziative e le campagne di sensibilizzazione. Abbiamo intervistato Antonella Ielasi, artefice e “modella” per la campagna dell’ADVA – Associazione Diabetici della Valle d’Aosta, una campagna che ha fatto parlare di sé.

Intanto complimenti per essersi prestata a una campagna efficace e incisiva. Ci dice qualcosa di lei?

Ho 32 anni, vivo ad Aosta e nella vita sono un assistente odontoiatrica. Sono diabetica da nove mesi. L’ho scoperto il 14 febbraio, ahimè il giorno di San Valentino! L’ho scoperto perché avevo tanta sete e ho subito pensato che potesse essere il riscaldamento troppo alto in casa. Successivamente ho addirittura pensato che potesse essere il nuovo dentifricio. Visto il mio lavoro mi capita di cambiarli sovente. Ho una famiglia, che mi sta molto vicina e mi aiuta in tutto, composta da: mio papà Antonio e le mie sorelle Lucia e Ilaria. Proprio loro mi hanno dedicato una canzone di Max Gazzè dove mi descrivono: la quintessenza dell’avversione. Questo perché sono una persona tenace, testona, che quando decide una cosa nel bene nel male va dritta come un treno.

L’associazione che ha organizzato la campagna è nuova a questo tipo di comunicazione?

L’associazione diabetici Valle d’Aosta in effetti è nuova a questo tipo di comunicazione. E’ un’associazione nata tanti anni fa e che per altrettanti anni si è un po’ limitata ad una “conduzione familiare” cercando di stare vicino ai diabetici ma senza esporsi più troppo.

Di chi è stata l’idea della campagna dia[BE]logue? E la realizzazione?

Un pomeriggio presa da un’idea ho contattato Piero Scrufari, il presidente dell’associazione (dove io sono entrata un po’ a gamba tesa perché dopo pochi giorni aver conosciuto il presidente ho deciso di fare qualcosa e l’ho fatto) e gli ho detto che volevo sviluppare un progetto di sensibilizzazione per cercare di puntare un faro sulle mancanze della Valle d’Aosta e perché pensavo di soddisfare la curiosità (il 90% delle volte positiva) delle persone non diabetiche… e quindi di sensibilizzare. Così, con l’aiuto di Piero e della mia amica Alessandra Bartolucci (anche lei diabetica di tipo 1 che io definisco la mia partner in crime), abbiamo buttato giù le idee per sviluppare dia[BE]logue. E da lì Piero mi ha detto: “Parti Antonella!”

La campagna ha come scopo la sensibilizzazione in generale sulla patologia oppure vorrebbe attirare l’attenzione sulla situazione delle persone affette da diabete in Valle d’Aosta? A proposito, com’è la situazione attuale?

Come dicevo, il progetto nasce soprattutto per sensibilizzare ma anche per attirare l’attenzione sulla nostra regione. In Valle d’Aosta purtroppo il materiale dato a nostra disposizione è scadente e limitato. Non abbiamo diritto di scelta sui presidi (abbiamo un tipo di pungidito, un tipo di ago da insulina, un tipo di lancetta, e un glucometro). Non abbiamo a nostra disposizione i sensori per la misurazione glicemica. I microinfusori vengono dati con il contagocce ce l’hanno circa 35 persone su 600. A questi presidi invece (direi anche giustamente) hanno accesso i minori di diciott’anni.

Auspicate un dialogo già nel nome della campagna, invece, incomprensibilmente, la campagna è stata attaccata duramente dalla Federazione Diabete Giovanile che la definisce “offensiva e irrispettosa”. Ha idea del motivo? Vi siete chiariti?

Per quanto riguarda la Federazione Diabete Giovanile penso che si siano arrogati il diritto di parlare per tutti i diabetici e non solo per i loro iscritti. Io sono disposta ad un confronto a 360° con chiunque lo richieda. Sono disponibile a mettermi in gioco e a metterci la faccia come fatto fino adesso e non solo metaforicamente parlando. Forse avrei preferito che la Federazione Diabete Giovanile prima di interpellare l’assessorato alla sanità e la presidenza del consiglio della Valle d’Aosta (quest’ultima ha anche patrocinato il progetto di dia[BE]logue, appoggiandosi e non tirandosi mai indietro nemmeno davanti alle critiche bensì proteggendo il progetto da loro approvato all’unanimità) avesse prima cercato un dialogo con l’associazione e con me. Qualora volessero un chiarimento ne sarei felice e me lo auspico perché per fronteggiare questa malattia dobbiamo essere uniti e non ci devono essere distinzioni tra associazioni, federazioni, ecc. ecc.: dovremmo collaborare ed avere un dialogo.

La foto che la ritrae trafitta da decine di siringhe ricorda un po’ quella del bambino, quella blu. Solo che lei qui ha uno sguardo diverso, un misto di serenità e fierezza, in un corpo che tutto sembra meno che malato. Aveva qualche timore sulla riuscita della campagna?

La foto dove sono trafitta dalle siringhe prende esattamente spunto da quella del bambino in blu. Quando l’ho vista la prima volta ho pensato: questo è il messaggio che voglio dare, questa è esattamente il tipo di comunicazione che cerco. Ci ho creduto fortemente e così ho deciso di rifarla più attuale ma meno “drammatica”. L’ho fatto avendo uno sguardo fiero… perché secondo me tutti quelli che affrontano la malattia e tutti quelli che la vivono insieme ad essi sono dei guerrieri. Dei guerrieri che ogni giorno prendono piccole ma grandi decisioni per la loro vita. Sinceramente, come dicevo all’inizio, quando decido una cosa vado dritta come un treno e nemmeno per un minuto ho avuto il timore che questa campagna potesse fallire, perché io mi ci riconoscevo al 100% e perché non stavo raccontando bugie… ma solo la verità. Secondo me… anzi secondo me, Piero ed Alessandra questa era la comunicazione giusta, era la comunicazione accessibile a tutti diabetici e non… E abbiamo pensato che era il messaggio giusto da dare.

Alcuni genitori con bimbi piccoli affetti da diabete, hanno preferito non far vedere la sua foto ai bimbi. Una specie di difesa a oltranza… Lei come si sarebbe comportata?

Sono molto dispiaciuta di aver urtato la sensibilità dei più piccoli e dei genitori, ma penso che quest’immagine se interpretata nel modo giusto potrebbe essere un’aiuto e non un’immagine da nascondere. Io con questa posizione e con quest’espressione volevo dire: ho il diabete e lo affronto, ho il diabete e non mi ferma e non mi fermerà. Sicuramente alcuni genitori per compensazione e protezione hanno deciso di non far vedere al proprio figlio quella che realmente è la loro vita è sarà la loro vita. So che questa è un’immagine dolorosa, io per prima l’ho testata sulla mia famiglia e sulle persone che mi circondano e ho visto le loro reazioni. Difficile dire come si comporterebbe un genitore… Io non lo sono e mi ci posso solo immedesimare… Sicuramente per un genitore è difficile prendere decisioni così forti, così “al limite” e così dolorose per il proprio figlio… ogni giorno, ogni minuto, mentre dormono e mentre sono svegli… Io probabilmente nel momento giusto, nell’età giusta racconterei a mio figlio quello che realmente è il diabete di tipo 1 per dargli le possibilità e e la forza giusta per affrontarlo un domani… indipendentemente. Perché il diabete alla fine è una malattia con il quale bisogna conviverci da soli perché chi non la affronta non la capisce davvero… non per cattiveria… ma è così. Sono contemporaneamente felice invece che molti genitori da tutta Italia di bambini piccolissimi e di bambini di tutte le età mi hanno contattato per ringraziarmi e dirmi: “Grazie voglio che tutti sappiano cosa affronta mio figlio!”

Immagino che a questo punto lei sarà diventata un po’ un punto di riferimento. Continuerà il suo impegno?

Sicuramente continuerò il mio impegno… Da quando è uscito il progetto di dia[BE]logue avevamo già delle idee per continuare a svilupparlo, ma da quando sono usciti i manifesti si sono innescate delle reazioni positive di altri diabetici che ci hanno contattati dicendoci: “Ma perché non facciamo anche questo? Perché non realizziamo anche questo?” È così ho conosciuto persone meravigliose con molta voglia di fare e un milione di idee fantastiche che sicuramente realizzeremo.

Rifarebbe tutto?

Sì. Rifarei tutto e lo rifarei esattamente come l’ho fatto. Ringrazio anche la Federazione Diabete Giovanile che esponendosi così fortemente contro la mia immagine ha fatto “gioco/forza” e ha spinto dia[BE]logue ben oltre i confini valdostani facendomi sentire l’amore e l’approvazione di numerosissime persone.

E come dico sempre quando parlo di dia[BE]logue: RIMANETE SINTONIZZATI!

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Open source e diabete. Alcuni spunti dai pazienti favorevoli

Abbiamo deciso di sondare il mondo dell’open source dedicato al diabete, raccontandovi i vari punti di vista delle parti in causa -medici, pazienti e creatori delle app non ufficiali. L’articolo che state leggendo è parte integrante di una serie

In questa breve raccolta, abbiamo riportato alcune esperienze di utilizzatori dei sistemi non ufficiali e le pubblichiamo per dare anche il punto di vista di chi, con le dovute cautele, ne trae beneficio.

Mark: «A chi mi dice “Non è approvato FDA e non ha il marchio CE”, io genitore rispondo: neppure io lo sono, eppure sono l’alternativa da voi raccomandata! Perché io che non sono CE andrei bene e il mio Closed Loop no?»

Doriana: «Dormo da due anni: da quando uso AndroidAPS. Dopo 8 anni da zombie… Perchè non dovrei usare un sistema che da due anni mi porta estremo sollievo?»

Omar: «Ogni persona è diversa, eppure i medici danno a tutti la stessa regola: sotto i 70 è ipoglicemia ed è pericoloso. Direi che sia più pressapochista una verità assoluta del genere, che non un sistema evoluto che si adatta ad ogni andamento glicemico»

Jasper: «Il diabetologo ti prescrive l’insulina, imposta i profili basali e ti dà alcune regole da seguire. Dopodiché si aspetta che tu sia in grado di gestire la patologia per i 3 mesi successivi… Ebbene, se non ci riesci e la tua glicata rimane alta e con Loop e AndroidAPS di abbassa, se il diabetologo è contrario questi strumenti, l’alternativa consiste nel farti seguire da lui stesso, ogni giorno per 6 o più boli al giorno. Altrimenti, che alternative ho?»

Henry: «Senza queste app, posso prendere 10-15 decisioni al giorno per gestire il mio diabete. Invece, le app prendono una “microdecisione” ogni 5 minuti, rendendo la gestione molto più naturale e precisa. Nel tempo ho collezionato tantissime immagini e post di persone nel panico per aver preso decisioni sbagliate; alcune sono finite persino in ospedale. Chi l’ha detto che la gestione manuale sia migliore o più sicura di quella offerta da queste app?»

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Terapie Cellulari, Immunomodulazione e Medicina Rigenerativa per la Cura del Diabete, di Camillo Ricordi

Abbiamo l’onore di ospitare nel nostro sito i risultati dello studio che Prof. Camillo Ricordi, Direttore del Diabetes Research Institute dell’Università di Miami, nonché il massimo esperto nel trapianto di isole pancreatiche, sta presentando in questi giorni in Italia e in altri paesi. Durante un’intervista-fiume per DeeBee, ci ha anticipato le slides, un dono per i nostri lettori, da sempre alla ricerca di novità.

SLIDES – Prima parte
SLIDES – Seconda parte
SLIDES – Terza parte
Scarica tutte le slides, in anteprima per DeeBee.it

Download “Terapie Cellulari, Immunomodulazione e Medicina Rigenerativa per la Cura del Diabete - Camillo Ricordi - DeeBee.it” Terapie-Cellulari-Immunomodulazione-e-Medicina-Rigenerativa-per-la-Cura-del-Diabete-Camillo-Ricordi-DeeBee.it_.pptx – Scaricato 309 volte – 76 MB

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Le bottiglie di Diego

“Mio figlio ha il Diabete… vi serve aiuto?”

Con questa singolare frase, messa in oggetto a una mail arrivata nella posta di DeeBee, è iniziata una storia di solidarietà che abbiamo deciso di raccontare anche se, come spesso accade, le persone più generose preferiscono restare nell’ombra.

Diego, papà di un bimbo di sei anni, quest’autunno è “diventato parte di questa famiglia”, come si definisce lui stesso. Il pensiero di un genitore alle prese con l’esordio recente crea sempre un misto di voglia di sostenerlo e di rabbia, un rivivere attraverso altri la dolorosa fase dell’inizio che conosciamo bene e d’altro canto il desiderio di essere in qualche modo d’aiuto. Eppure questa volta l’impatto è stato diverso, un capovolgimento insolito di ruoli: un genitore che arriva come un vulcano e ti regala la sua di forza. Con modi decisi e poche parole.

A ridosso di Natale, Diego comunica che ha deciso di sostenere la missione di DeeBee in modo concreto e tangibile. Proprietario di un negozio di liquori pregiati, metterà in vendita alcune bottiglie della sua collezione personale e il ricavato donarlo all’associazione. In pochi giorni porta a termine la sua idea facendo un accorato appello ai suoi clienti da tutto il mondo: “Vogliamo fare una donazione importante a un’organizzazione per il diabete… Sei libero di berlo, conservarlo, rivenderlo, ma per favore compra perché così possiamo aiutare questi bambini. Grazie.”

Nel sito si legge che ci sono voluti sette anni per riempire due barili da 20 litri con campioni di qualsiasi bottiglia aperta da Lion’s Whisky, alcuni di altissima qualità come il Samaroli Bouquet e il 1967 Laph (annate dal 1937 al 1989); sono stati versati dal 2006 al 2013 e poi invecchiati per altri 5 anni fino al 2018 e successivamente 40 bottiglie sono state sigillate. Tempi lunghi per creare l’eccellenza, tempi rapidissimi per regalarla.

“Se per aiutare il prossimo rinunci a qualcosa,
fai veramente del bene. Altrimenti che bene è?”
Totò

È emozionante sapere che alcune di queste bottiglie sono volate chi sa in quale continente e sono arrivate in mani sconosciute che si sono tese in nostro aiuto. Da qualche parte, in una sera fredda d’inverno o durante un party sulla spiaggia, qualcuno sorseggerà un bicchiere di buon whisky e inconsapevolmente, per uno strano effetto domino,  quel gesto lo porterà vicino da noi.

Ecco, questa volta abbiamo deciso di ringraziare pubblicamente Diego, perché la solidarietà va riconosciuta e conosciuta.

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Carrisiland, un parco acquatico che fa acqua

"Mio figlio ha avuto un crollo legato al diabete solo due volte: all'esordio e dopo l'episodio al parco acquatico Carrisiland a Cellino San Marco, quando gli è stato impedito di salire sugli scivoli".

Il racconto di un papà dopo la disavventura del figlio 16enne lascia senza parole. Quella che doveva essere una giornata di divertimento e spensieratezza poco prima dell’inizio della scuola, si è rivelata un vero e proprio incubo.

“Ho ricevuto la telefonata di G. che mi chiedeva di raggiungerlo all’acquapark dove era andato con alcuni amici. Aveva già parlato a lungo, senza poter risolvere, con gli addetti alla sicurezza che gli avevano impedito di usufruire degli scivoli. Si è arreso e mi ha chiesto aiuto”.

Sugli scivoli è consentito solo l’uso di braccioli. Sono vietate ciambelle salvagenti, occhiali da vista e da sole, orologi, occhialini, collane, bracciali, orecchini, gessi, protesi e oggetti in genere” recita il regolamento.

DeeBee Italia ha scritto per ben tre volte alla direzione del Carrisiland, quello che viene definito il più grande parco del Sud, senza ottenere nessuna risposta. Nella mail si chiedeva: 

“il motivo di tale scelta che, come forse immaginate, ha avuto un forte impatto emotivo su un adolescente già segnato dalla sua patologia. E se il vostro parco acquatico escluda tassativamente i bambini affetti da diabete (che, con le tecnologie moderne, sono spesso portatori di sensori e microinfusori).

Dopo un primo giro su uno scivolo d’acqua, G. è stato notato dagli addetti alla sicurezza del parco per la fascia che portava al braccio. Sotto, un sensore glicemico che gli garantisce un monitoraggio continuo della glicemia, fermato saldamente da nastro kinesiologico. Secondo le regole del parco, impossibile poter fare alcuni giochi d’acqua.

Il ragazzo, entrato nel parco il 3 settembre con l’agevolazione prevista dalla legge 104, ha inizialmente spiegato la sua patologia e la necessità di quel dispositivo sul braccio. Circondato dagli amici che si sono fermati per dargli sostegno e con la prospettiva di una giornata rovinata. Come lo è effettivamente stata.

“Mi sono precipitato al parco ed essendo di carattere molto calmo, ma deciso, ho provato in tutti i modi a risolvere una situazione che stava diventando imbarazzante. Dopo gli addetti alla sicurezza, è stato il turno di un dirigente. In evidente difficoltà, mi ha ripetuto le regole del parco per poi arrivare a menzionare “i costruttori degli scivoli che avrebbero dato delle direttive ferree e specifiche”. Mio figlio avrebbe dovuto togliere il sensore, compromettendo in pratica la sua salute. Ho proposto di firmare una liberatoria che potesse tutelare il parco in caso di problemi. Aperto a qualsiasi soluzione. Ma evidentemente lo ero solo io. Abbiamo trovato davanti un muro, un muro d’acqua gelata lo chiamerei”.

Andato a vuoto anche il tentativo di poter usufruire di altre attrazioni offerte dal parco, il gruppo di ragazzi ha lasciato la struttura. Difficilmente ci torneranno al Carrisiland, che si  divide in tre aree  nominate paradossalmente “Isla Encantada”, “Isla Dorada” e “Isla Natascia”, impraticabili per un ragazzo o bambino con problemi alle sue isole di Langerhans, quelle che contengono le cellule in grado di secernere la tanto desiderata insulina.

Diabete e bambino. Cosa succede quando mangiamo? La vera storia del cibo dalla bocca agli zuccheri, grazie al lavoro di Fata Insulina.

Da Padre a padre, dico grazie all'autore per aver fatto sorridere la mia bambina. Ci ha relagato uno sprazzo di magia

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Intervista a Massimo Balestri, l’AD di Roche Italia che ha provato Eversense

"L'ho fatto per capire quali siano le sensazioni dei pazienti diabetici".

Grazie intanto per averci concesso quest’intervista. Roche Diabetes Care Italy è un’azienda abbastanza giovane e da subito ha messo al centro la terapia sul singolo paziente. Siete riusciti ad oggi a mantenere questa promessa?

Ci piace definirci una start up con oltre 40 anni di esperienza nella gestione del diabete. Operiamo infatti solo da due anni come società indipendente interamente dedicata alla gestione e cura del diabete, dopo aver operato per lungo tempo come Business Unit di Roche Diagnostics, sempre nell’ambito del Gruppo Roche.
Nella mia ormai ventennale esperienza in materia, posso dire che una delle cose più importanti per tutte le persone che lavorano in Roche Diabetes Care Italy è l’impegno a svolgere il proprio lavoro con sempre chiaro in mente per chi lo fanno. Non importa se fa training dei nostri dispositivi, se promuove l’informazione scientifica o si occupa di evasione ordini, chiunque svolge la propria attività pensando a come ridurre la complessità per le persone con diabete, nella gestione già difficile della patologia. Come alleviare il peso della cronicità? Come sostenerle concretamente ogni giorno? E per farlo a mio avviso esiste solo un modo, ed è quello di mettere la persone al centro della nostra attenzione. Questo ha anche significato battersi per dare la possibilità a chi vive in Italia di essere tra i primi al mondo ad utilizzare la tecnologia dei sensori impiantabili. E così è stato.

Nel campo dei sensori glicemici ora Eversense, sembra essere il prodotto di punta per la vostra azienda. E’ così o avete in serbo altri progetti?

Eversense è l’unico sensore impiantabile esistente sul mercato e rappresenta davvero un’importante innovazione tecnologica. Si tratta del primo sensore che ha una durata fino a 180 giorni, dispone di allarmi predittivi, e inoltre rispetto ai sensori tradizionali ha delle caratteristiche distintive come ad esempio la vibrazione del trasmettitore sul braccio. Inoltre il trasmettitore è removibile in qualsiasi momento.
Per quanto riguarda i progetti che abbiamo in piano, posso dire che Roche è sempre alla ricerca di soluzioni innovative per i pazienti, anche in partnership con altre Società, come appunto con Senseonics, oppure in collaborazione con le Società Scientifiche come JDRF. In questo momento storico, infatti, è importante creare valore attraverso la collaborazione e l’interazione tra diversi attori.

Dai riscontri che abbiamo avuto, sia nel gruppo italiano di utenti Eversense, sia tra diabetologi che abbiamo interpellato, la definizione che torna più spesso è: con Eversense, cambia il modo di gestire il diabete. E’ così? Lo aspettavate una tale affermazione così rapida di questo prodotto?

Eversense ci ha colpito subito per le sue caratteristiche innovative ed abbiamo fortemente creduto nelle sue potenzialità. Devo ammettere però che il riscontro dalle parole di pazienti e medici è stata una soddisfazione enorme. Sapere che Eversense ha cambiato e migliorato significativamente la vita di queste persone è per tutti noi di Roche Diabetes Care la motivazione più grande. E un fortissimo stimolo a continuare in questa direzione.

I dati dell’andamento glicemico dei pazienti (se ne avete), confermano miglioramenti nella gestione con Eversense?

I medici ci riferiscono che le persone che utilizzano Eversense ne hanno tratto un beneficio clinico importante, ci raccontano di persone che trascorrono maggior tempo a target e hanno ridotto l’emoglobina glicata. E non meno importante, una miglior qualità di vita sembra essere un fattore comune molto diffuso.

Massimo Balestri, Amministratore Delegato di Roche Italia

So che magari non le piace molto, ma proviamo a parlare un po’ di lei. Come ci è finito nel mondo dei dispositivi per la gestione del diabete?

Ho una formazione economica ed ho iniziato a lavorare nel marketing del settore del baby food. Più di vent’anni fa mi sono poi avvicinato al mondo della salute, occupandomi prima di farmaci da banco e poi di sistemi per la gestione del diabete. Devo dire che mi sono subito innamorato di questo settore, per la possibilità di avere un impatto sulla qualità della vita delle persone, per il valore sociale, per il ruolo della tecnologia, per la complessità nascosta dietro alla gestione di una patologia solo apparentemente banale. Dopo tanti anni sono ancora qui, con la passione del primo giorno e tante nuove sfide da affrontare.

È vero che si è fatto impiantare un sensore Eversense?

È vero, nel gennaio di quest’anno ho impiantato Eversense.

Ci racconta qualcosa di questa sua esperienza, molto singolare direi. Non è un dispositivo qualunque; prevede un piccolo intervento invasivo. Come mai ha sentito l’esigenza di volerlo provare in prima persona?

Quando abbiamo iniziato a promuovere l’utilizzo di Eversense la prima barriera da superare è stata proprio la gestione dell’impianto. In tanti hanno reagito inizialmente dicendo che mai si sarebbero fatti inserire un sensore sotto la pelle. Sembrava particolarmente invasivo sia fisicamente che psicologicamente. Noi sostenevamo che la procedura fosse molto semplice e indolore, ma come potevo dirlo se non lo avevo provato? Per questo ho voluto sperimentare in prima persona che cosa significa inserirsi un piccolo sensore sotto pelle ed avere la conferma di quello che pensavo.

Per quanto tempo l’ha portato?

Una volta inserito, l’ho portato ogni giorno per tutti i tre mesi di funzionamento. Ho fatto tutte le calibrazioni richieste ed ho tenuto sotto controllo l’evoluzione della mia glicemia. Ho così constatato direttamente che anche chi non ha il diabete può avere escursioni significative, che ci sono giorni positivi e giorni negativi per tutti, che l’impatto dell’attività fisica a volte è strano, che certe pizze sono particolarmente deleterie… che ognuno di noi può beneficiare da un regime di controllo. In particolare, ho capito che se voglio prevenire l’insorgenza del diabete Tipo 2 devo prestare maggiore attenzione al mio stile di vita.

È stata la prima volta da sensorizzato o ha già provato altri dispositivi?

Non ho provato altri dispositivi. Eversense è l’unico sistema che ho sentito il desiderio di utilizzare, fino a questo momento.

Come definirebbe quest’esperienza, a parte molto singolare?

Mi è capitato spesso di parlare con persone con il diabete che nell’affrontare in profondità alcuni aspetti della patologia ad un certo punto si adombrano e ti dicono: “che cosa ne sapete voi del diabete, della sua presenza costante nella mia vita, ogni giorno, ogni ora”. Questa esperienza per me è solo un piccolissimo tentativo di avvicinarmi alle problematiche quotidiane di chi deve convivere con la patologia, per poter essergli ancora di più di aiuto.

Si prevede nel futuro prossimo un Eversense che duri ancora più a lungo?

Recentemente all’ADA sono state presentate diverse esperienze tra cui una sull’utilizzo fino a 250 giorni, all’interno di uno studio della durata di 365 giorni. La tecnologia è in rapida e continua evoluzione per cui ci aspettiamo ulteriori sviluppi nel prossimo futuro e non solo in termini di durata del sensore.

Avete qualche previsione per quanto riguarda l’uso pediatrico di Eversense?

Posso solo dire che ci sono degli studi in corso e ci auguriamo di aver presto degli aggiornamenti in merito da potervi raccontare.

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Diabete Bastardo

Se qualcuno la volesse definire in una sola parola, Enrica Pontin sarebbe un girasole. Il collo a volte piegato, altre dritto e nervoso pronto per  scattare, a bere la luce del sole, il giallo del suo “io posso”!

Lei può. Lei emoziona quando racconta in immagini, lei usa il corpo come narrazione di un qualcosa di invisibile, nascosto nell’ombra di un piccolo minuscolo organo, il pancreas. Lei può… chiamare bastardo la malattia che l’accompagna, quella che alcuni chiamano in modo vezzeggiativo, come per esorcizzare la paura e tenerla nascosta tra cuscini di piume.

Il suo progetto fotografico, lo scatto in avanti che l’ha portata a una rinascita, è racchiuso paradossalmente proprio in uno scatto: questo! Il primo autoritratto nato proprio per ideare il progetto personale #diabetebastardo, il ritratto che non la rispecchia oggi e che segna il punto di rottura. Da quel laboratorio in mezzo alle macerie è uscita una donna forte e sicura, una farfalla che pedala controvento.

Da 5 anni nella sua vita è arrivato il diabete, quello che ora lei riesce a descrivere a parole e soprattutto raccontarlo in immagini.

“Un pensiero costante che occupa la mente e il cuore. Uno sforzo fisico e pratico che sfianca. Una preoccupazione fondata che racchiude rischi e pericoli. Una fatica pressante ad essere compresi e far percepire il suo essere subdolo. Un lavorio continuo tra grinta e fragilità. Una sopportazione interiore e ricerca di accettazione. Un alto, un basso e una non compensazione. Un altalenarsi tra gioire e disperare. Un oggi che sará un domani, nel bene e nel male.”

É svestita Enrica nelle sue foto, con un solo candido sensore addosso, dimostrazione di forza e fragilità nello stesso tempo, in una danza di luci e ombre. Chi ha visto la sua precedente tappa della mostra fotografica a Cartigliano, sicuramente è stato inondato di forme e colori, a volte come lo schiaffo di un raggio negli occhi, altre come una carezza tiepida di un sole autunnale. “Ho voluto usare il corpo, svestito da ogni elemento di malizia, semplicemente raccontare questo semplice involucro di quello che siamo, del nostro benessere o malessere, delle nostre emozioni, belle o brutte che siano”.

Questa seconda tappa del suo progetto itinerante si inaugura il 18 maggio al Palazzo Reale – Crespano del Grappa e si intitola “I colori delle scelte“.

Nella serata inaugurale uno chef, Enrica Longo, spiegherà l’importanza di una scelta alimentare consapevole. E man mano che la mostra si sposterà altrove ci saranno esperti di sport, psicologia ed altre discipline che affiancheranno il racconto. Enrica Pontin sarà così la testimone vivente di un percorso che da spettatori della propria vita porta ad essere soggetti e infine autori. “Vedermi da fuori mi ha permesso di addentrarmi in me stessa, in quel momento così difficile e delicato e, una volta vista la fragilità, nel rappresentarla, è diventata forza e ispirazione dei passaggi che andavano fatti. Riconoscerla, accettarla e mostrarla agli altri mi ha permesso di espellerla. L’autoritratto è divenuto così un modo per esorcizzare il malessere, comunicarlo e definirmi”. Parlare con lei oggi mette allegria, sentire la sua voce squillante ti mette addosso energia e vorresti seguire la sua riga gialla, un frammento di sole che attraversa e segna l’unione tra il prima e il dopo.

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Diabete e bambino. Cosa succede quando mangiamo? La vera storia del cibo dalla bocca agli zuccheri, grazie al lavoro di Fata Insulina.

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Riflettori puntati su omega 3 e vitamina D

Parlano per DeeBee i responsabili dell'unico centro italiano che sperimenta lo "Studio Ricordi"

Dopo un recente accordo con il prestigioso Diabetes Research Institute della Università di Medicina di Miami (Florida) diretto dal Prof. Camillo Ricordi, nel servizio di Diabetologia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera “Maggiore della Carità” di Novara alcuni pazienti vengono sottoposti a un particolare trattamento a base di vitamina D e omega 3. La sperimentazione ha suscitato grande interesse tra i genitori dei bambini affetti da diabete Tipo 1, ma anche tra adulti con esordio recente. Per dare risposte alle tante domande arrivate in redazione e nel nutrito gruppo chiuso di DeeBee in Facebook ci siamo rivolti direttamente al Dott. Francesco Cadario, Responsabile scientifico in DRI (Diabetes Research Institute) Clinica Pediatrica di Novara – Miami, IRCAD (Interdisciplinary Research Center of Autoimmune Diseases), Novara e alla Dott.sa Silvia Savastio, Clinica Pediatrica Dipartimento di Scienze della Salute Università del Piemonte Orientale, Responsabile del Servizio di Diabetologia Pediatrica AOU Maggiore della Carità, Novara.

In cosa consiste questo protocollo e com’è nato?

Il protocollo è nato da un’idea del Prof. Camillo Ricordi con cui ci siamo stati messi in contatto tramite pazienti e il nostro presidente AGD Novara Braga Fabio. Lo studio è rivolto a bambini ed adolescenti (da 1 a 18 anni) con diabete autoimmune, e propone una attenzione dietetica a cibi ricchi di omega 3 (pesce, semi li lino, etc), e una supplementazione per via orale con vitamina D e omega 3 (EPA e DHA). Lo scopo è sfruttare le proprietà antinfiammatorie degli acidi grassi omega 3 e immunomodulanti della vitamina D per cercare di prolungare la fase di luna di miele quasi sempre presente all’esordio di diabete Tipo 1. Abbiamo incluso gli esordi del 2017, 2016 e 2015, ed a fine 2018 avremo i risultati.

Poiché dopo l’esordio di diabete tipo 1, circa l’80% dei soggetti presenta una remissione transitoria della malattia, per cui si riduce la necessità di apporto insulinico sotto 0,5 U/Kg/die (cosiddetta “luna di miele“), agire in questa fase ci permetterà maggiormente di valutare se somministrare vitamina D e omega 3 preservi una secrezione autonoma di insulina. La vitamina D ha un ruolo di regolatore dell’immunità ed è spesso carente nei soggetti all’esordio; omega 3 hanno una azione antiinfiammatoria, e contrastano i mediatori dell’infiammazione, attivi effettori del danno indotto a livello delle insule pancreatiche. Per ora abbiamo solamente 2 pazienti che hanno terminato lo studio, a 12 mesi di supplemento, ed entrambi hanno un bassissimo fabbisogno insulinico, che permette un ottimo controllo del diabete con una somministrazione di solo 1-3 unità di insulina, somministrate in una sola iniezione serale. Ovviamente occorrono dati su una casistica di pazienti per avere significato, e poter valutare se veramente vitamina D e omega 3 siano di protezione, permettendo la persistenza della fase di remissione o “luna di miele”. Lo studio in corso avrà comunque una lettura preliminare, anche prima della conclusione ad un anno, appena raggiunta una numerosità sufficiente.

I due pazienti che hanno terminato lo studio, a 12 mesi di supplemento, hanno un bassissimo fabbisogno insulinico, che permette un ottimo controllo del diabete con una somministrazione di solo 1-3 unità di insulina

La miglior sede di confronto potrebbe essere il prossimo 20 aprile a Miami, Florida, dove si svolgerà un simposio sull’argomento (1st PreDiRe, Preventing Disease and its Recurrence in Type 1 Diabetes), in cui saremo presenti con i nostri dati preliminari confrontandoci con americani, canadesi, danesi e svedesi.

Oltre al vostro centro, ce ne sono altri in Italia dove questo protocollo viene seguito?

No, almeno come studio strutturato; ma alcuni soggetti, afferenti ad altri centri di diabetologia pediatrica, “replicano” la stessa supplementazione con vitamina D e omega 3.

Ha senso iniziare a sottoporsi al protocollo a distanza di anni dall’esordio?

Non possiamo escludere altri effetti, oltre a quello ipotizzato di un allungamento del periodo di “luna di miele”. Dobbiamo capire se una supplementazione potrebbe determinare anche un aumento/mantenimento del c-peptide, il cui incremento o mantenimento in minima quota è correlato a una riduzione delle complicanze legate al Diabete tipo 1.

L’obiettivo principale del protocollo è la diminuzione dell’infiammazione o quello di preservare più a lungo possibile la funzionalità delle cellule beta?

Entrambi: uno è l’effettore dell’altro. Lo scopo e la speranza è che riducendo l’infiammazione si riesca a preservare la massa beta cellulare e quindi la funzionalità e secrezione insulinica.

È possibile seguire questo protocollo per i bambini anche piccoli? In quale età?

Noi lo proponiamo a tutte le età, ma la percezione è che in soggetti con esordio prima di quattro anni i risultati sono scarsi. Va detto comunque che non tutti rispondono in maniera uguale o netta come i due casi descritti e riportati in Letteratura.

Come si svolge concretamente? Va fatto qualche trattamento in periodi prestabiliti?

Abbiamo iniziato lo studio negli esordi degli ultimi 3 anni, proprio per valutare se l’inizio a una diversa tempistica dall’esordio possa influire. Somministriamo vitamina D in ragione di 1000 U/ die e omega 3, con apporto di EPA + DHA di 50 mg/Kg/die.
Ricerchiamo un rapporto tra omega 6 ed omega 3 ottimale, in specifico Acido Arachidonico (omega 6) : EPA (omega 3) tra 1.5 e 3. Prima di iniziare la supplementazione eseguiamo una visita basale per sapere il fabbisogno insulinico di partenza e un prelievo ematico per valutare livelli di vitamina D, c-peptide, glicata, profilo lipidico, coagulazione e rapporto AA/EPA. Successivamente iniziamo la supplementazione con vitamina D e omega3. Valuteremo, poi, a distanza gli effetti della supplementazione su parametri metabolici e rapporto AA/EPA.

Quanto dura il trattamento?

La durata prevista è di circa un anno, entro il 2018 saremo in grado di dare dati più precisi, per definire se effettivamente si può trarre vantaggio dal nostro studio. Ovviamente la supplementazione dovrebbe persistere anche oltre.

Ci sono controindicazioni nell’assunzione massiccia di vitamina D e omega 3?

Ai dosaggi del nostro studio non ci sono rischi. Poiché esistono soggetti che hanno pur con somministrazione di 1000 UI di vitamina D valori persistentemente bassi, e poiché esiste una stagionalità, occorre una verifica del livello di vitamina D, soprattutto in fine inverno o inizio primavera per verificare che la vitaminemia D sia nel range 30-50 ng/ml. Una intossicazione da vitamina D si può avere per valori di gran lunga maggiori (>100 ng/ml) al nostro target. Omega 3 alle dosi di 50-60 mg/dl non comportano effetti collaterali. Non abbiamo avuto effetti avversi, solo una bambina ha presentato transitoria diarrea, rientrata dopo sospensione.

Che risultati si prospettano nella migliore delle ipotesi?

Non crediamo si possa parlare di guarigione. Non vogliamo dare farse speranze. Al momento abbiamo dalla nostra parte un paio di casi clinici, nostri pazienti che abbiamo di recente pubblicato. In particolare un bambino di 9 anni che da 24 mesi sta facendo solo insulina basale con ottimi risultati. Il nostro augurio è che riducendo l’infiammazione si possa protrarre il più a lungo possibile la fase di luna di miele, con minimi dosaggi di insulina (nella migliore delle ipotesi solo l’insulina basale) e buon controllo metabolico.

Se il genitore di un bambino appena dopo l’esordio, decidesse di sottoporre il proprio bambino al protocollo, cosa dovrebbe fare? A chi si dovrebbe rivolgere?

Dovrebbe parlarne al proprio Curante, ed una chiara presentazione qui nel sito di DeeBee potrebbe essere utile in questo senso. Non si può sopravvalutare i singoli casi di persistente remissione, ne sappiamo quanto questa durerà.

Ha senso sottoporre al protocollo anche fratelli o sorelle?

Direi proprio di no. Invece avrebbe sicuramente importanza migliorare lo stile di vita, alimentare soprattutto, in base alla regione di appartenenza (Nord, Centro, Sud) somministrare vitamina D, in gravidanza (terzo trimestre), e in tutta l’età pediatrica, adolescenza compresa.

Ci sono prodotti specifici per poter far assumere ai bambini o ragazzi affetti da diabete Tipo 1 più Vitamina D e omega 3? Intendo nella dieta quotidiana, oltre all’alimentazione (integratori o altro).

No non ci sono prodotti scientificamente migliori di altri: solo prestare attenzione ad utilizzare omega 3 purificati da tracce di piombo, mercurio, che sono inquinanti dei mari e purtroppo entrati nella catena biologica alimentare della fauna marina.

 

Per chi vuole approfondire

  • Cadario F, Savastio S, Rizzo AM, Carrera D, Bona G, Ricordi C. Can Type 1 diabetes progression be halted? Possible role of high dose vitamin D and omega 3 fatty acids. Eur Rev Med Pharmacol Sci 2017 Apr;21(7):1604-1609
    Abstract → ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28429367
    Lavoro integrale→ europeanreview.org/article/12416
  • Baidal DA, Ricordi C, Garcia-Contreras M, Sonnino A, Fabbri A. Combination high-dose omega-3 fatty acids and high-dose cholecalciferol in new onset type 1 diabetes: a potential role in preservation of beta-cell mass. Eur Rev Med Pharmacol Sci. 2016 Jul;20(15):3313-8     Abstract→ ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27467009

Lavoro integrale → europeanreview.org/article/11250

Diabete e bambino. Cosa succede quando mangiamo? La vera storia del cibo dalla bocca agli zuccheri, grazie al lavoro di Fata Insulina.

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