
Diabete di tipo 1 a scuola: «È un Bisogno Educativo Speciale», di Francesca Loddo
Il diabete lo conosco bene, ci convivo quasi pacificamente da 18 anni. Non conosco, però, tutte le sue sfaccettature. Quando è arrivato da me avevo 16 anni e sono diventata subito autonoma, per necessità e orgoglio. Mi sono voluta perciò addentrare nel mondo del diabete a scuola, due realtà che conosco bene ma in modo separato. Ho voluto scoprire come può essere gestito, le difficoltà, le varie esperienze, nella speranza che questo possa sensibilizzare anche chi non conosce questa patologia e le sue molteplici facce.
Quando si è trattato di decidere l’argomento della mia tesi ho pensato a tutti i vari argomenti che avrei potuto trattare, ma un angolino della mia testa continuava a dirmi che avrei potuto parlare di diabete. Non è stato semplice restare distaccata di fronte ad un argomento che mi riguarda così da vicino!
Spero sia per tutti voi una piacevole lettura.
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Enjoy!
La campagna della discordia. “FDG non può arrogarsi il diritto di parlare per tutti”
Antonella Ielasi: Lo rifarei tale e quale. Ringrazio FDG, per merito loro ho sentito l’amore e l’approvazione di numerosissime persone
Come ogni anni, con l’avvicinarsi della Giornata Mondiale del Diabete si sono moltiplicate le iniziative e le campagne di sensibilizzazione. Abbiamo intervistato Antonella Ielasi, artefice e “modella” per la campagna dell’ADVA – Associazione Diabetici della Valle d’Aosta, una campagna che ha fatto parlare di sé.
Intanto complimenti per essersi prestata a una campagna efficace e incisiva. Ci dice qualcosa di lei?
Ho 32 anni, vivo ad Aosta e nella vita sono un assistente odontoiatrica. Sono diabetica da nove mesi. L’ho scoperto il 14 febbraio, ahimè il giorno di San Valentino! L’ho scoperto perché avevo tanta sete e ho subito pensato che potesse essere il riscaldamento troppo alto in casa. Successivamente ho addirittura pensato che potesse essere il nuovo dentifricio. Visto il mio lavoro mi capita di cambiarli sovente. Ho una famiglia, che mi sta molto vicina e mi aiuta in tutto, composta da: mio papà Antonio e le mie sorelle Lucia e Ilaria. Proprio loro mi hanno dedicato una canzone di Max Gazzè dove mi descrivono: la quintessenza dell’avversione. Questo perché sono una persona tenace, testona, che quando decide una cosa nel bene nel male va dritta come un treno.
L’associazione che ha organizzato la campagna è nuova a questo tipo di comunicazione?
L’associazione diabetici Valle d’Aosta in effetti è nuova a questo tipo di comunicazione. E’ un’associazione nata tanti anni fa e che per altrettanti anni si è un po’ limitata ad una “conduzione familiare” cercando di stare vicino ai diabetici ma senza esporsi più troppo.
Di chi è stata l’idea della campagna dia[BE]logue? E la realizzazione?
Un pomeriggio presa da un’idea ho contattato Piero Scrufari, il presidente dell’associazione (dove io sono entrata un po’ a gamba tesa perché dopo pochi giorni aver conosciuto il presidente ho deciso di fare qualcosa e l’ho fatto) e gli ho detto che volevo sviluppare un progetto di sensibilizzazione per cercare di puntare un faro sulle mancanze della Valle d’Aosta e perché pensavo di soddisfare la curiosità (il 90% delle volte positiva) delle persone non diabetiche… e quindi di sensibilizzare. Così, con l’aiuto di Piero e della mia amica Alessandra Bartolucci (anche lei diabetica di tipo 1 che io definisco la mia partner in crime), abbiamo buttato giù le idee per sviluppare dia[BE]logue. E da lì Piero mi ha detto: “Parti Antonella!”
La campagna ha come scopo la sensibilizzazione in generale sulla patologia oppure vorrebbe attirare l’attenzione sulla situazione delle persone affette da diabete in Valle d’Aosta? A proposito, com’è la situazione attuale?
Come dicevo, il progetto nasce soprattutto per sensibilizzare ma anche per attirare l’attenzione sulla nostra regione. In Valle d’Aosta purtroppo il materiale dato a nostra disposizione è scadente e limitato. Non abbiamo diritto di scelta sui presidi (abbiamo un tipo di pungidito, un tipo di ago da insulina, un tipo di lancetta, e un glucometro). Non abbiamo a nostra disposizione i sensori per la misurazione glicemica. I microinfusori vengono dati con il contagocce ce l’hanno circa 35 persone su 600. A questi presidi invece (direi anche giustamente) hanno accesso i minori di diciott’anni.
Auspicate un dialogo già nel nome della campagna, invece, incomprensibilmente, la campagna è stata attaccata duramente dalla Federazione Diabete Giovanile che la definisce “offensiva e irrispettosa”. Ha idea del motivo? Vi siete chiariti?
Per quanto riguarda la Federazione Diabete Giovanile penso che si siano arrogati il diritto di parlare per tutti i diabetici e non solo per i loro iscritti. Io sono disposta ad un confronto a 360° con chiunque lo richieda. Sono disponibile a mettermi in gioco e a metterci la faccia come fatto fino adesso e non solo metaforicamente parlando. Forse avrei preferito che la Federazione Diabete Giovanile prima di interpellare l’assessorato alla sanità e la presidenza del consiglio della Valle d’Aosta (quest’ultima ha anche patrocinato il progetto di dia[BE]logue, appoggiandosi e non tirandosi mai indietro nemmeno davanti alle critiche bensì proteggendo il progetto da loro approvato all’unanimità) avesse prima cercato un dialogo con l’associazione e con me. Qualora volessero un chiarimento ne sarei felice e me lo auspico perché per fronteggiare questa malattia dobbiamo essere uniti e non ci devono essere distinzioni tra associazioni, federazioni, ecc. ecc.: dovremmo collaborare ed avere un dialogo.
La foto che la ritrae trafitta da decine di siringhe ricorda un po’ quella del bambino, quella blu. Solo che lei qui ha uno sguardo diverso, un misto di serenità e fierezza, in un corpo che tutto sembra meno che malato. Aveva qualche timore sulla riuscita della campagna?
La foto dove sono trafitta dalle siringhe prende esattamente spunto da quella del bambino in blu. Quando l’ho vista la prima volta ho pensato: questo è il messaggio che voglio dare, questa è esattamente il tipo di comunicazione che cerco. Ci ho creduto fortemente e così ho deciso di rifarla più attuale ma meno “drammatica”. L’ho fatto avendo uno sguardo fiero… perché secondo me tutti quelli che affrontano la malattia e tutti quelli che la vivono insieme ad essi sono dei guerrieri. Dei guerrieri che ogni giorno prendono piccole ma grandi decisioni per la loro vita. Sinceramente, come dicevo all’inizio, quando decido una cosa vado dritta come un treno e nemmeno per un minuto ho avuto il timore che questa campagna potesse fallire, perché io mi ci riconoscevo al 100% e perché non stavo raccontando bugie… ma solo la verità. Secondo me… anzi secondo me, Piero ed Alessandra questa era la comunicazione giusta, era la comunicazione accessibile a tutti diabetici e non… E abbiamo pensato che era il messaggio giusto da dare.
Alcuni genitori con bimbi piccoli affetti da diabete, hanno preferito non far vedere la sua foto ai bimbi. Una specie di difesa a oltranza… Lei come si sarebbe comportata?
Sono molto dispiaciuta di aver urtato la sensibilità dei più piccoli e dei genitori, ma penso che quest’immagine se interpretata nel modo giusto potrebbe essere un’aiuto e non un’immagine da nascondere. Io con questa posizione e con quest’espressione volevo dire: ho il diabete e lo affronto, ho il diabete e non mi ferma e non mi fermerà. Sicuramente alcuni genitori per compensazione e protezione hanno deciso di non far vedere al proprio figlio quella che realmente è la loro vita è sarà la loro vita. So che questa è un’immagine dolorosa, io per prima l’ho testata sulla mia famiglia e sulle persone che mi circondano e ho visto le loro reazioni. Difficile dire come si comporterebbe un genitore… Io non lo sono e mi ci posso solo immedesimare… Sicuramente per un genitore è difficile prendere decisioni così forti, così “al limite” e così dolorose per il proprio figlio… ogni giorno, ogni minuto, mentre dormono e mentre sono svegli… Io probabilmente nel momento giusto, nell’età giusta racconterei a mio figlio quello che realmente è il diabete di tipo 1 per dargli le possibilità e e la forza giusta per affrontarlo un domani… indipendentemente. Perché il diabete alla fine è una malattia con il quale bisogna conviverci da soli perché chi non la affronta non la capisce davvero… non per cattiveria… ma è così. Sono contemporaneamente felice invece che molti genitori da tutta Italia di bambini piccolissimi e di bambini di tutte le età mi hanno contattato per ringraziarmi e dirmi: “Grazie voglio che tutti sappiano cosa affronta mio figlio!”
Immagino che a questo punto lei sarà diventata un po’ un punto di riferimento. Continuerà il suo impegno?
Sicuramente continuerò il mio impegno… Da quando è uscito il progetto di dia[BE]logue avevamo già delle idee per continuare a svilupparlo, ma da quando sono usciti i manifesti si sono innescate delle reazioni positive di altri diabetici che ci hanno contattati dicendoci: “Ma perché non facciamo anche questo? Perché non realizziamo anche questo?” È così ho conosciuto persone meravigliose con molta voglia di fare e un milione di idee fantastiche che sicuramente realizzeremo.
Rifarebbe tutto?
Sì. Rifarei tutto e lo rifarei esattamente come l’ho fatto. Ringrazio anche la Federazione Diabete Giovanile che esponendosi così fortemente contro la mia immagine ha fatto “gioco/forza” e ha spinto dia[BE]logue ben oltre i confini valdostani facendomi sentire l’amore e l’approvazione di numerosissime persone.
E come dico sempre quando parlo di dia[BE]logue: RIMANETE SINTONIZZATI!
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Enjoy!
Alla frutta
Ho esaurito tutte le sedi del corpo dove iniettare l’insulina lenta.
Ho fatto 33 anni di iniezioni. Impossibile calcolare il numero. A parte forse i primi 1/2 anni, sono sempre state molto più di 4 al giorno.
Dici bene di ruotare le sedi, come ho sempre fatto, ho un diabete difficile e un corpo piccolo (magro e piuttosto corto): le sedi non sono infinite. L’unico posto dove non mi sono mai iniettata insulina è la faccia, e quella mi piacerebbe lasciarla integra (che tra l’altro le gote effetto silicone non mi piacciono).
Fatto sta, che dopo aver esaurito con iniezioni e microinfusore tutte le zone canoniche, da qualche anno ho optato per le spalle: sede piuttosto antipatica, considerando che le mie spalle non hanno altro che muscolo. Nel tempo gradatamente ho dovuto alzare la quantità di insulina basale, poiché la zona è diventata via via meno assorbente e sempre più “gonfia”.
Stamattina mi è venuta un’illuminazione e mi sono iniettata la lenta nella parte posteriore del braccio, mai utilizzata (ho sempre utilizzato le zone anteriori ed esterne). La conseguenza è che ho passato una giornata delirante a mangiare: zuccheri semplici e zuccheri complessi, zuccheri complessi e zuccheri semplici. Mangio da stamattina senza essermi fatta insulina rapida. Evidentemente l’insulina in una zona mai utilizzata assorbe al 100%.
Ecco. Tutti coloro che hanno il diabete di tipo 1 almeno da qualche anno avranno capito ogni riga di questo post.
Ma dimmi tu come si può spiegare una roba del genere a uno che di diabete non ne sa niente (o ai maestrini di teoria):
“Ti sei fatta le unità GIUSTE di insulinaaa? E ALLORA PERCHE’ sei in iper (o in ipo)?!”
“Le unità giuste? Dici come nel raffreddore si prende una aspirina e non se ne prendono 2 o15 o 64?
Giuste a livello teorico o giuste nella MIA vita?
Giuste per quando sono felice o per quando sono triste?
Giuste per quando sto ferma o per quando mi muovo?
Giuste per quando sono in premestruo o per quando “le ho finite”?
Giuste per quando fa caldo o per quando fa freddo?
Giuste per quando ho discusso in famiglia o per quando sono innamorata?
Giuste per quando sono rilassata o per quando sto sfinita?
Giuste per quando straripo di serotonina o per quando sono satura di cortisolo?
Giuste per quando la mia carne le accetta o per quando le respinge?
… Sono discorsi complessi: ti ci devi mettere solo quando hai molte energie (molta voglia) e una buona corazza.
Capisco (e abbraccio) tutti quelli che talvolta preferiscono chinare la testa e tagliano corto: “Eh, avrò fatto le unità sbagliate…”.
Eroi ed eroine
Ho letto di sensazioni
a me sconosciute,
quelle che proverai
o che già provi
e non dici.
Tutte diverse
ma uguali, per me
che non posso
sentire, non posso
evitarteli.
Ho letto però
anche un sorriso,
una gran voglia di vita,
bella e forte.
So che proverai
e già provi, anche
se non dici.
Eroi ed Eroine
I nostri figli non lo sono.
I nostri figli devono essere normali per noi, devono sentirsi trattati da figli normali, non devono essere trattati da eroi o eroine ai quali è richiesto di dare dimostrazioni di forza.
I nostri figli
non sono più forti,
non sono più intelligenti,
non sono più pronti,
non sono più maturi,
non sono più sensibili,
non sono più belli,
non sono migliori!
Spesso è consolatorio pensarlo, per noi, ma non è così e pensarlo, è dannoso per loro. I nostri figli sono normali nella loro delicata, innegabile, inalterabile, complessa criticità.
L’immutabile carico di libertà negata che li segue sarà, in alcuni momenti, normalità, in altri rifiuto. La loro vita, legata a rituali innaturali ed artificiali, avrà, anzi, dovrà forzatamente avere momenti di dolore, abbandono e sconforto!
Dobbiamo far si che questi momenti siano voglia di vita, siano vissuti come parte di un tutto molto diverso, molto più grande, molto più naturale.
A quelle che per noi sono oscure sofferenze, stati di coscienza alterati, impenetrabili, inafferrabili, misteriosi sintomi di enigmatici squilibri, non dobbiamo rispondere con sofferenza ed alterazione.
Perché le loro difficoltà sono vita, la loro vita, oggi con noi, domani senza di noi. Siamo solo accompagnatori per un breve ma fondamentale tratto del loro cammino, e non abbiamo diritti, né dobbiamo chiedere o aspettarci che siano migliori.
La nostra vita è cambiata in un lampo di dolore fortissimo, dobbiamo far sì che la loro cambi gradatamente, che attraverso la nostra sofferenza nascosta, abbiano il tempo di avvicinarsi al loro mondo, di assorbirlo, di guardarlo negli occhi, magari di maledirlo, di piangere e disperarsi, di soffrire, ma di sapere che è la loro vita e che può e deve essere capita e vissuta, forse anche accettata!
Noi, sempre di più, saremo lo specchio della loro futura voglia di vita.
Noi determiniamo ciò che il loro diabete sarà negli anni che verranno, quando saranno soli.
Noi dobbiamo sapere quando esserci e quando sparire, (e dobbiamo avere il coraggio di sparire!).
Noi abbiamo l’obbligo di rischiare, l’obbligo di spingerli dolcemente in salita e frenarli duramente quando prenderanno troppa velocità, in discesa.
A noi l’impegno, che non è capacità di controllo o di gestione della malattia, ma è molto di più: è capacità di donare loro una bella e forte voglia di vita, non eroica, non speciale, ma banalmente e per quanto possibile normale!
Alessandro
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AAA Personale cercasi
Da quando esiste DeeBee abbiamo avuto modo di conoscere molte realtà, generosità espresse in modi diversi, mani tese, non solo virtualmente.
Mai come questa volta però la solidarietà ha preso una forma inaspettata: una struttura alberghiera cerca personale iscritto al collocamento mirato legge 68/99 e un loro consulente, membro del nostro gruppo su Facebook, ha pensato a qualcuno affetto da diabete che potrebbe essere interessato. Quindi pubblichiamo qui tutti i dettagli necessari per presentare la propria candidatura presso Golf Hotel Vicenza che si trova ai piedi dei colli Berici, a poca distanza dal centro della città di Vicenza.
Le figure professionali richieste sono:
Cucina:
- 1 pizzaiolo
Sala:
- 2 secondo maitre
- 2 commis de rang
- 1 hostess operativa
Sales:
- 1 sales assistant per tour operator
- 1 sales assistant per gestione in house
Manutenzione
- 1 facchino/manutentore
SPA
- 1 receptionist con altre funzioni relative alla spa
- 1 estetista operativa senior
- 1 estetista junior
I Curriculum Vitae, completi di foto e liberatoria per il trattamento dei dati personali, devono essere mandati all’indirizzo hr@golfhotelvicenza.com
In bocca al lupo a tutti anche da parte nostra e un ringraziamento particolare a G.G. per la preziosa informazione!
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Gocce di vita
Non di rado mi imbatto in discussioni riguardanti i sintomi dei vari stati glicemici…
Mi ritorna sempre a mente il 1990, seduto su un letto non mio dalle lenzuola bianche, alto alto da terra e quella classica testiera di tubolare cromato che se lo tocchi troppo con le tue manine appiccicose ti lascia impresso quell’odore di ferro grezzo che non va più via.
Una grande finestra di alluminio anodizzato, il tipico vetro ondulato con le maglie in ferro all’interno, fa filtrare la luce del mattino dove si intravede il tetto della città.
Chi l’ha mai vista la città, per me il mondo inizia e finisce dove c’è il trattore sotto il portico, le galline e le anitre, mio cugino che scavalca la staccionata per venire a giocare…
Una signora con i suoi ricci, la frangia super cotonata e quel disegno nella sua mano intrattengono ormai l’attenzione della camerata. Mi sventola sempre quel foglio con un bambino disegnato che si asciuga con un fazzoletto le goccioline di sudore nel viso, ha le formichine nei piedi e nelle gambe, tira il fiatone e attorno ci sono caramelle colorate e altre cose da mangiare. Saranno 20 minuti che parla con la mamma… ipo… ipo… ipo…
Uno dei primi vani tentativi di spiegare ad uno piccolo profano gnomo i sintomi dell’ipoglicemia a cavallo tra gli anni 80 e 90.
Magari oggi si usano i video, ci sono i social… magari c’è pure un simulatore, che ne so…
I sintomi di certo non sto qui ad elencarli, sicuramente uno che è nel “settore” da qualche anno, li conosce tutti a memoria, ma sono solo semplici parole scritte su un foglio bianco che possono indurti a immaginare cosa potresti provare in un determinato momento.
La sensazione è tua, la stai vivendo qui ed ora… non sono solo semplici goccioline o formichine.
Gli anni di esperienza e di confronti mi hanno portato a capire che sono soggettivi; chi avverte più una cosa e chi meno. Ogni corpo è unico, con una propria anima… con un proprio “diabete”.
… con una propria ipo.
Ipo… Ipo… Non tutte le ipo sono uguali poi.. Discesa in maniera dolce, discesa rapida da un buon valore, la picchiata di 300 punti in 20 minuti, discesa e rimbalzo… e altre che sicuramente mi sfuggono.
Oppure c’è lei, la più maledetta, quella che ti coglie di notte e se ne approfitta del tuo stato confusionale. Il mistico, la follia e la demenza si uniscono per dar vita a qualcosa di surreale…
Sicuramente tanti genitori pagherebbero per sapere cosa sta provando il loro figlio o figlia. Alcuni provano a chiedere una descrizione dei sintomi, ma sono un po restii a credere che si tratti solo di goccioline di sudore e formichine.
Spesso mi dicono quanto sono “fortunato” in questo caso ad essere T3 e T1 allo stesso momento. Almeno so cosa prova mio figlio in determinate condizioni. Le considerazioni sono del tutto soggettive.
Parlando per un attimo di quell’ipo che ti coglie di notte mentre dormi… potrei dire a te che leggi che si prova tachicardia, confusione mentale, formicolii, stanchezza…
Permettimi di rubarti qualche minuto, ti voglio per un attimo invitare dentro la mia anima e cercare di farti provare le mie sensazioni dell’ultimo serio episodio se me lo consenti.
Ti ricordo che questo è il mio diabete…
… spesso quando sei in cantiere con papà, ti dà come compito un lavoro importante, devi misurare uno spazio ben preciso; fai molta attenzione, se sbagli poi lo sai che cominciano i suoi sermoni sulla vita e sul lavoro.
E insomma dai, hai pure 20 anni, sei giovane e pensi allo scarico modificato e cerchioni che hai visto sull’Alfa ieri sera; alla notte che hai passato con la tua ragazza… e pensi che sia ora di tirare fuori dalla tasca sinistra dei jeans, quella schifosissima caramella “fondenti Per***na” costantemente calcificata che ti ricorda quella volta che tuo fratello ti ha fatto mangiare un pezzo di stucco per le fughe delle mattonelle.
Per sicurezza ne butti in bocca 2, e ovviamente su una è rimasto attaccato un pezzo di stagnola che sposti da un lato a l’altro con la lingua finché non hai finito di sbriciolare quella “ghiaia” che ti sei buttato tra i denti. Non c’è tempo per rimuovere la stagnola, hai le mani pure occupate.
Ti affretti ad uscire… corri al furgone, ti sei dimenticato di scaricare la livella laser che è nella porta scorrevole, dietro al…
… APRI GLI OCCHI!!!
Ti accorgi per pochissimo che stavi sognando, i bei tempi con papà. Sei nel buio, ti volti, vedi la sveglia segnare le 3:30 e resetti l’allarme del sensore senza neanche far caso a cosa segnava. La senti… quella sensazione di merda… la gola sembra seccarsi in modo sferico, provi un attimo a deglutire per vedere se passa, ma sai benissimo dove porta, ma tu ragioni con la mente di uno che ha dormito fino a 15 secondi fa e così ponderi il tuo logico pensiero: “tanto ho preso 2 caramelle ed un pezzo di stagnola, proviamo a vedere un attimo come va”.
Il tuo attimo si proietta per qualche strana sorte ai tempi bui della tua famiglia. Sei lì, sempre con papà che sta restaurando quella casa che aveva nonna. Lo aiuti nel suo lavoro, ma sai che da lì a poco comincerà il tuo conto alla rovescia… La sensazione che hai non tarda ad arrivare… ecco che cominci a sentire quella palla secca incastrata in gola e comincia a salirti quell’effetto piscina profonda. Metti una mano in tasca, e trovi appena sotto il cellulare quella caramella Gelée che ti era rimasta dalla volta scorsa nei pantaloni da cantiere. Riponi tutte le tue speranze su quell’ultima caramella, come una sorta di preghiera, anche se sai già in cuor tuo che è solo un palliativo che ti farà durare qualche quarto d’ora in più.
Stringi i denti, manca poco per finire il lavoro. Poi tornerai casa a fiondarti nella dispensa. Tieni duro, lo fai per papà; sai benissimo che si immerge nei suoi lavori di precisione, lo distolgono dal suo count down maledetto con la vita.
… APRI GLI OCCHI CRETINO!!!
Ti ritrovi nuovamente nel buio della tua stanza, ti volti e vedi che sono le 3:50.
Il tuo ragionamento notturno ti porta a pensare che hai mangiato le due caramelle più la Gelée… Ma appena ti rendi conto che razza di babbeo sei stato a credere ad un simile ragionamento sono già le 4:10.
Senti lo scricchiolio delle foglie secche dentro al cuscino.
Lo conosci fin troppo bene questo stadio. Il battito del tuo cuore sembra provenire da dentro il cuscino, assumendo il rumore del fogliame secco calpestato e sai che da lì a poco vieni avvolto da quella sensazione di nebbia fredda e umida che si deposita lentamente sopra quel tuo corpo steso ed incredulo.
Sei consapevole di cosa sta per accadere tra poco, ma ogni volta ti fai fregare perché sei affascinato e quasi abituato da quel demone che si presenta solo la notte nel buio della tua stanza quando dormi.
Eccolo, lo senti, comincia a prendersi gioco di te…
Le foglie secche dentro al cuscino se ne sono ormai volate altrove… ora il battito del tuo cuore lo senti dentro il materasso, o meglio, lo senti partire da dentro di te e rimbalzare dentro la molla del materasso. Sempre più forte. I contraccolpi sono talmente forti al punto di sentire l’acciaio armonico della molla snervarsi. Per un attimo, togli la testa dal cuscino e appoggi l’orecchio sul materasso, come a ricercare una verifica certa di quello che sta succedendo.
…ALZATIIIIII!!!!!!
Il sensore suona, ma nemmeno badi a lui. Non sarà certo un aggeggino tecnologico a darti la conferma di quello che sta succedendo. Sei troppo sicuro ormai; anni e anni hanno addestrato e preparato il tuo corpo.
Neanche sai come, ti ritrovi in piedi davanti la porta della tua buia camera. Il respiro del sonno della tua compagna ti penetra dentro la testa e ti fa impazzire.
Ti fai coraggio e sai che da lì in poi si può uscirne solo vincendo la battaglia. Non ti fai illusioni, afferri la maniglia, apri la porta ed esci dalla camera abbandonando su quel letto anni di razionalità e ragione.
Parti per il tuo viaggio. Il vento fortissimo ti investe le orecchie. Un rumore che ti fa imbestialire. Assordante. Per un attimo guardi fuori dalla finestra del corridoio in cerca di una conferma di quanto sta accadendo. Il vento investe solo te. Un rumore che ti ricorda il trasformatore dell’alta tensione per certi punti.
Attraversi il corridoio, scalzo, con la ghiaia sotto i piedi e l’erba alta che ti struscia sulle gambe. Nebbioso è il percorso, ti toccherà cercare gli interruttori a palponi. Quasi distingui a fatica casa tua.
Ne hai ancora di strada da fare. Papà ti accompagna fino a quando vieni investito, nel vento, dalle prime note di quella canzone. Quasi a prendersi gioco di te. The Crisis di Ennio Morricone.
Arrivi in cucina, con il fiatone che ti penetra nei timpani. Il tuo battito sembra andare a ritmo del respiro. Ti sembra quasi di poterlo controllare con i naso. Senti il tuo cuore che pompa tra le narici.
Trovi l’interruttore ed accendi…
… la tua cucina fa da sfondo ad una nebbia bianca di stelle, quasi da rimanere estasiato. Per un attimo ti fermi, vorresti accamparti lì e riposare, ma ne hai fatta di strada. Sarebbe stupido buttar via tutta quella fatica così.
…AVANTIII
Non mollerai mica adesso. Ti ricarichi il tuo pesante zaino in spalla, raccogli il tuo fucile e continui tra il vento, la ghiaia, l’erba, la musica, la nebbia, le stelle ed il battito nel fiatone.
Ti volti con rammarico e tristezza mentre cammini. Fissi quel punto, dove hai lasciato l’ultimo pezzo di umano che c’è in te. Piano piano cominci a sguainarti dal tuo corpo. Prima il piede destro, poi il sinistro. Le mani. Infine la testa. Stai rannicchiato dentro di te, come segno di separazione tra mente e corpo. Il tuo corpo procede in solitaria grazie agli anni di evoluzione ed addestramento. Sono impulsi e stimoli a governare. Le origini dell’uomo sono scritte dentro il tuo DNA.
Niente è più razionale, incapace di formulare qualsiasi pensiero logico, puoi solo assistere come spettatore ad uno degli spettacoli più assurdi.
Camminando tra questa nebbia di stelle e non solo, ti ritrovi davanti al frigorifero dove ti vedi arraffare cose come non ci fosse un domani. Ti trascini tra la porta frigo dimenticata aperta, porte della dispensa aperte a caso, cassetti tirati senza un perché. Porti senza una gran logica culinaria un po’ di cose sopra la tavola e ti abbandoni a peso morto sulla sedia. Non sapendo spiegarti come, spingi con le gambe la sedia che hai davanti a te, con la convinzione di far sedere tuo padre, il quale ti ha accompagnato per il tratto del corridoio alla cucina.
Hai marmellata e ti manca il cucchiaio;
hai Coca Cola e ti manca il bicchiere;
ti ritrovi tra le mani una forchetta ma non sai che uso farne… Tutto quello che serve è lì a meno di due metri da te che sembra sfotterti. Con le ultime forze che ti restano, carichi i 50kg del tuo zaino sulle spalle e ginocchia e cerchi di sollevarti facendo leva su qualsiasi cosa a disposizione. Oramai sei solo in grado di provare fatica e basta. Fai scivolare gambe e piedi quel minimo che basta ed il resto allunghi le braccia come a cercare di risparmiare maggior strada possibile.
Neanche sai come, ti ritrovi a mangiare, guidato da un istinto animale di sopravvivenza. Inzuppi biscotti nella marmellata, merendine nella Coca Cola… Non sei abilitato a fare la conta dei CHO. Non sei in grado di leggere. Nemmeno ti ricordi come si fa. Tra te e quello che ti metti in bocca c’è solo il rumore del vento, il battito assordante del tuo cuore più The Crisis.
Le mani ti tremano, i movimenti sono scoordinati, hai tutte le dita incollate di marmellata e briciole di biscotti.
In cuor tuo sai che sarebbe stato meglio chiedere aiuto alla tua compagna, ma ormai è troppo tardi. Il tuo corpo se la deve cavare da solo.
Mangi a ritmo del battito stordente del tuo cuore.
Appena raggiunta una parziale sazietà rientri a far parte della tua mente. Riprendi possesso del tuo corpo. Il tuo fisico comincia a ribellarsi per averlo fatto soffrire in una simile maniera. Ti si rivolta contro facendoti sudare come mai prima. Da subito le gocce di sudore cadono dalla fronte e dai capelli, subito dopo, gocce che cadono giù per la schiena, per il petto, poi braccia, inguine, piedi. Nulla viene escluso.
I tuoi vestiti completamente da buttare. Tu come minimo sei da doccia.
Poco dopo ti ritorna l’uso della parola e della ragione; capisci di aver mangiato a dismisura. Il vento se ne va via, la ghiaia pure. Il cuore ed il respiro riprendono la loro normale routine… Guardi quella sedia vuota davanti a te, quella canzone non suona più. Capisci che se ne è andata con tuo papà quella stessa notte in cui si è arreso alla lotta per la vita su quel letto freddo. A te rimane solo l’angoscia. Vestiti imbrattati di sudore e l’avvicinarsi dell’imminente iper da correggere fin da subito.
… doccia, qualche ora di sonno da recuperare e Buongiorno mondo! Si riparte per una nuova giornata. E goditela tutta fino alla fine.
Federico Antoniazzi
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Quotidianità
Ogni mattina ti accompagno a scuola.
Stai crescendo, non c’è che dire, e ti guardo sempre con grande orgoglio! Siamo mano con la mano, io sempre un po’ più avanti di te e tu quasi a farti trascinare.
Passo dopo passo, nel silenzio della strada, cerco di ascoltarti; il tuo battito diventa il mio battito, la tua energia fluisce verso di me in uno scambio continuo ed io entro in te, sono parte di te.
A volte lo penso davvero: vorrei essere proprio dentro di te, cellula con le tue cellule e lottare…
Forse da dentro, riuscirei più facilmente nell’intento, saprei meglio dirige il “traffico” e farei in modo che tutto proceda per il verso giusto, insulina, carboidrati, ormoni… saprei io come mettere tutti a posto!
Sai, da fuori è più difficile. Gli imprevisti sono tanti e tutto si può stravolgere da un minuto ad un altro. E’ una lotta impari e non si riesce sempre a giocare d’anticipo.
E mentre camminiamo tu mi guardi da sotto il cappuccio e mi sorridi, quasi come se avessi letto nel mio pensiero… e ti sorrido anch’io!
Ecco, siamo arrivati, ti lascio in classe e vado via.
Un altro giorno di calcoli, previsioni, speranze è cominciato!
Marco Cefalù
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Caro diabete…
Riceviamo e pubblichiamo volentieri la lettera di una ragazza di 13 anni, da tre affetta da diabete Tipo 1
Caro diabete…
Questo 31 marzo, per me sarà una giornata particolare.
Nel senso, sarà una giornata normale, ma è l’anniversario (in senso negativo) di una giornata tanto brutta per me. Tre anni fa fui ricoverata in ospedale improvvisamente e questa cosa davvero mi ha segnata nella mia vita.
Da fuori potrà sembrare strano, ma a viverlo tutto è diverso. Nel senso, potrà sembrare strano che il diabete (patologia non grave se presa in tempo) possa, a volte farmi riflettere molto. Ci penso su, che, per pochi istanti, forse ora non sarei più qui. Ma molte altre volte meglio non farci caso, sulla pelle di una bambina di tredici anni che ama la vita (dopo ciò la amo ancora più) fa una brutta sensazione. Non so cosa dire, ma vorrei ringraziare tutte le persone che, nonostante tutto, mi fanno stare bene. Amici, famiglia, addirittura anche persone che nemmeno pensavi di conoscere, che hai conosciuto per caso, ma è stato un “caso” (se così si può chiamare) bellissimo.
Caro diabete…
Se non ci fossi stato tu, forse ora non sarei più me stessa. Tutte le sofferenze, le difficoltà, ogni singolo sacrificio, mi hanno formata. Mi hai fatta crescere prima del tempo, non mi lascio influenzare perché sono le persone deboli che si fanno condizionare.
Caro diabete…
Se non ci fossi stato tu, non avrei conosciuto MAI (o forse ma dettagli) persone stupende, ossia i miei amici diabetici. E perché no, anche i dottori, anche quelli un po’ meno simpatici.
Caro diabete…
grazie per farmi soffrire con quei cerotti ed aghi sulla pelle.
Soffro sia fisicamente sia dentro.
Fisicamente perché, nonostante tutto, ti senti la pelle man mano diventare sempre più debole. Soprattutto i polpastrelli delle mani, quando non riesci più a scrivere, a suonare il flauto, ad avvertire il tatto. E che dire dei cerotti del microinfusore e del sensore, perché comunque ti limitano, non puoi esagerare a correre, devi stare sempre sul chi va là e controllare che tutto vada bene. Poi vabbè, soffri anche dentro, mi pare ovvio. Quando avverti dolore come se ti avessero iniettato una siringa (oramai non mi fanno più nulla le siringhe) e non riesci nemmeno a muoverti e ti senti un nulla. E vabbè, soffri dentro anche perché, con tutto ciò che vivi, ti devi anche sentir dire: “E che fa, cosa sarà mai questo diabete?!”. Queste brutte sensazioni ti fanno capire tanto.
Caro diabete…
Allora, sarà l’ennesima volta che dico “caro” quando sei tutto tranne “caro”. Non sei caro e lo sai.
Beh, in fondo parlare ad un nemico come te mi fa ridere, anche se sei da affrontare continuamente con serenità, senza mai farsi abbattere.
Caro diabete…
Grazie perché grazie a te ho capito, anche se per poco, cosa significa la parola “fame”, quando volevo mangiare ma non potevo, che il dolore fu così straziante da farmi addormentare.
Caro diabete…
Grazie perché con te si comprende davvero cosa significa la parola “dolore”. Non una cavolata, ma bensì un qualcosa che fa star male anche la tua famiglia, quando non sai con chi sfogarti e ti fa male sentire che anche le persone a cui tieni tanto soffrono per te.
Caro diabete…
Molti potrebbero pensare come si faccia ad uscire positivamente da una situazione così con calma. In realtà bisogna farsi forza e non basarsi su quella che ci potrebbero dare gli altri.
Caro diabete…
Non vorrei essere pesante, quindi concludo qui.
E ricorda che non mi abbatterai mai, come tutte le persone forti che vivono la mia stessa situazione.
Ricorda che non riuscirai mai a scoraggiarci perché basta pochissima felicità per far sì che possiamo accendere quella luce che ci fa rendere conto che, intorno a noi, ci sono tante cose che ci rendono felici, e sono molte di più di quanto si possa immaginare. I colori, la luce del Sole, la vita tranquilla, e non nella guerra come in altre zone del pianeta. Io posso muovermi, e non come persone che non possono camminare.
Posso capire, studiare e fare una vita quasi completamente normale, poter parlare, scrivere, disegnare, avere la certezza di un futuro. Un pensiero, concedimelo, lo dedico ad Alessandro, Carla ed Edo, che non sono stati fortunati come me e che hanno lasciato troppo presto questa vita. E pur non conoscendoli li porterò sempre nel mio cuore.
Alla fine volevo ringraziare tantissimo ogni singola persona che mi rende felice, ma anche coloro che, giorno dopo giorno, mi stupiscono in negativo, perché mi fanno capire quanto il diabete mi abbia formata come carattere.
Sono fortunatissima e, quando lo comprendo, a tratti mi sembra quasi surreale.
Caro diabete…
Ultimissima cosa, poi giuro che la smetto. Un giorno la finirai di esserci o resterai sempre con me?
Non immagini quanto io voglia che passerai. E però se non potrai pazienza, potrò sempre continuare a sognare.
La tua Rosa
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Roma e Torino unite da un calendario
Metti una singolare giornata d’inverno con un sole tiepido perfino a Torino. Aggiungici il desiderio per fare una consegna speciale, cornice di un grande puzzle creato a più mani. Immetti nella visuale alcuni vigili che per non creare intralcio si presentano in borghese nel Centro di Diabetologia Pediatrica dell’ospedale Infantile Regina Margherita della Città della Salute di Torino. Sommare ai loro sorrisi quelli della professoressa Ivana Rabbone e del Dott. Davide Tinti, e voilà: una giornata qualsiasi diventa particolare per noi di DeeBee e non solo.
Una parte dei proventi del calendario realizzato con un incredibile dispiegamento di forze degli agenti della Sezione II (ex X) del Corpo della Polizia Municipale di Torino (anche lì non in divisa, ma in impeccabili abiti d’epoca), sono stati destinati a DeeBee Italia. Che a sua volta ha acquistato e donato ai bambini del reparto di diabetologia e ai medici che lo gestiscono, un televisore 55 pollici, un Notebook HP, una stampante Laser Color + cartucce per un totale di 1.570,71€.
La restante somma ricevuta dai calendari è destinata a sovvenzionare parte della fornitura per la misurazione della glicata da dito al Policlinico Umberto I di Roma e per le varie attività di DeeBee.
Un antico proverbio arabo recita: Il passato è la radice del presente e il presente è il seme del futuro. E noi continuiamo instancabili a seminare, con l’aiuto di tante realtà sparse per lo stivale che ogni volta ci testimoniano la loro impagabile fiducia e stima.
Prof.ssa Ivana Rabbone
Dott. Davide Tinti
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