Se mangi questo pane, stai buttando via la dieta: cosa devi sapere subito

Se mangi questo pane, stai buttando via la dieta - deebee.it
Pane e dieta possono convivere: la dietista Arianna Rossoni spiega come scegliere il pane giusto, quanto consumarne e come abbinarlo per ridurre il picco glicemico.
Con l’arrivo dell’estate, il pensiero della prova costume porta molti a rivedere le proprie abitudini alimentari. Spesso il primo taglio avviene sui carboidrati, con il pane tra i primi “indiziati”. Ma togliere del tutto questo alimento dalla dieta può essere una scelta sbagliata, perché si tratta di una fonte importante di energia per muscoli, organi interni e cervello. A confermarlo è la dietista Arianna Rossoni, che invita a superare il vecchio luogo comune secondo cui il pane farebbe ingrassare. La chiave, spiega, sta nella qualità, nella quantità e nel modo in cui lo si consuma all’interno del pasto.
Pane a dieta: quale scegliere per evitare sbalzi glicemici
Il pane non è tutto uguale. La differenza la fanno gli ingredienti, il tipo di farina, il metodo di lievitazione e persino la cottura. I pani di qualità contengono solo farina, acqua, lievito naturale e sale. Niente zuccheri, oli aggiunti o conservanti, elementi che spesso si trovano nei prodotti industriali come panini al latte, pancarrè o panbauletti.
Per chi è attento alla linea o soffre di problemi metabolici, il consiglio è di preferire pane integrale o semi integrale, fatto con farine macinate a pietra. L’etichetta va letta con attenzione: la vera farina integrale deve essere il primo ingrediente, senza aggiunta successiva di crusca o cruschello, spesso usati per dare colore al prodotto ma privi del valore nutrizionale del cereale integro.

Sono ottime le varianti a base di farro, segale, grano saraceno o riso per chi segue una dieta senza glutine. Meglio ancora se a lievitazione naturale, più digeribili e con un indice glicemico più basso. I prodotti da forno raffinati, come quelli a base di farina 00, vanno invece consumati con molta cautela, soprattutto se accompagnati da altri cibi ad alto carico glicemico.
Il pane integrale, rispetto ai succedanei come le gallette di riso, è più saziante, più nutriente e meno impattante sulla glicemia. Ecco perché, se scelto bene e abbinato correttamente, può far parte di una dieta bilanciata senza timori.
Come abbinarlo e quanto mangiarne per restare in forma
Inserire il pane nella dieta si può, purché sia porzionato e contestualizzato nel pasto. Le linee guida indicano una quantità media di 50-70 grammi per pasto, pari a una fetta spessa o un panino piccolo. Naturalmente la grammatura precisa va definita da un nutrizionista in base alle esigenze personali. Quel che conta davvero, però, è non consumarlo da solo.
Il pane, come tutti i carboidrati, alza la glicemia. Se mangiato da solo o con altri zuccheri, può generare un picco glicemico seguito da un calo rapido e da un ritorno di fame. Per evitare questo effetto, è meglio abbinarlo a proteine e grassi, che rallentano l’assorbimento del glucosio. Un piatto bilanciato – come quello proposto dal modello di Harvard – include anche verdure e olio extravergine d’oliva.
Un trucco utile è preferire il pane tostato o raffermo, magari surgelato e poi scaldato: così si forma amido resistente, che l’intestino non digerisce facilmente, riducendo l’impatto glicemico. Alcuni esempi concreti? Pane integrale con hummus e carote, pane di segale con uova in camicia e verdure oppure crostini di farro su una vellutata di piselli.
Il pane può essere mangiato anche più volte al giorno, cambiando però tipologia. Se a colazione si opta per pane di segale con avocado, a cena si può scegliere pane di farro oppure sostituirlo con pasta o cereali integrali, sempre abbinati a proteine e verdure.
Anche la cottura della pasta o del riso incide: meglio al dente, saltati brevemente nel condimento. Il riso, se fatto raffreddare e poi rosolato, avrà lo stesso effetto dell’amido resistente del pane tostato.
Il pane non è un nemico. Anzi, può diventare un alleato, se inserito con criterio e senza eccessi. Eliminarlo del tutto non migliora la dieta, ma rischia solo di renderla più sbilanciata e meno sostenibile nel tempo.